SINAPPSI

2019/1

Un anno di Reddito di inclusione. Target, beneficiari e distribuzione delle risorse


A un anno dall’introduzione del Reddito di inclusione (Rei), con il presente articolo ci si propone di discutere come sia stato affrontato il complesso fenomeno della povertà. Dopo aver fornito una fotografia della povertà in Italia e del finanziamento ai servizi sociali dei Comuni prima dell’introduzione del Rei, si procede a un’analisi del disegno della policy, dei risultati ottenuti in termini di beneficiari raggiunti, della spesa sostenuta per il beneficio economico e, infine, del finanziamento rivolto ai servizi di accompagnamento per l’uscita dalla povertà.

A year after the inception of the Reddito di inclusione (Rei), the first systematic income support policy in Italy, this article explores how that policy has addressed the issue of poverty. We first show what poverty in Italy looks like and describe the funding of social services by Italian municipalities before the introduction of the Rei. We then proceed to an analysis of the Rei’s policy design, a description of its results in terms of beneficiaries and the funding spent on economic benefits. Finally, we provide an analysis of the allocation of funds to the regions for the policy’s specific services.

1. Introduzione

I Paesi dell’Unione europea (UE) rilevano livelli di povertà significativi a dispetto degli alti livelli di reddito e di sviluppo umano che si registrano in media. Per rispondere a tale fenomeno, si sono sviluppate delle politiche di contrasto alla povertà, la cui forma è cambiata col passare degli anni. Negli anni ’80, tali politiche si sostanziavano in trasferimenti economici mirati ad alleviare la condizione di disagio contingente delle persone in povertà, più recentemente gli interventi di contrasto alla povertà si sono trasformati in programmi più complessi, che aggiungono al beneficio economico servizi sociali e misure di attivazione lavorativa (Lødemel e Trickey 2000; Hemerijck 2013). Queste politiche trovano in parte la loro ispirazione dalla distinzione introdotta da Drèze e Sen (1989) tra protezione e promozione, due aspetti diversi dell’azione pubblica di contrasto alla povertà. Secondo questi due autori, la protezione contro la povertà mira a prevenire il declino delle condizioni di vita in caso di shock economico che potrebbe provocare una situazione di povertà transitoria, mentre la promozione riguarda il miglioramento delle condizioni di vita e l’uscita definitiva dalla povertà. In questa ottica, un intervento pubblico completo deve comprendere sia misure di breve respiro per rispondere in modo immediato alla povertà, sia misure che contrastano la povertà cronica e le cosiddette ‘trappole della povertà’ (o poverty trap, Ravallion 2016). Nel 2008, la Commissione europea ha adottato una serie di raccomandazioni le quali, promuovendo l’inclusione attiva delle persone escluse dal mercato del lavoro[1], sembrano andare in tale direzione (Commissione europea 2008). Queste raccomandazioni comprendono tre filoni principali:

  1. sostegno al reddito per vivere conformemente alla dignità umana;
  2. mercati del lavoro inclusivi;
  3. accesso a servizi di qualità per consentire alle persone interessate di beneficiare di un adeguato sostegno sociale (si veda Clegg 2016 per maggiori dettagli in merito).

 

Nel corso degli ultimi anni, le politiche nazionali di sostegno al reddito in Europa sono evolute nella direzione dell’inclusione attiva (Policy Department A: Economic and scientific policy - Directorate general for internal policies 2017), lasciando da parte le politiche dette passive (Hemerijck 2013). Fino al 2016, solo due Paesi dell’UE non avevano alcuna politica strutturale di sostegno al reddito: la Grecia e l’Italia (ibidem). Con l’adozione del programma Horizon 2020 e l’obiettivo di liberare 20 milioni di cittadini europei dalla povertà, anche tramite target quantitativi vincolanti, la pressione funzionale e politica per l’adozione di misure di contrasto alla povertà è notevolmente aumentata (Jessoula e Madama 2018). La Grecia ha messo in atto la sua misura nel 2017 dopo un anno di test[2]. Nello stesso anno l’Italia ha arricchito il suo sistema di welfare con il Reddito di inclusione (Rei)[3], che ha prima accompagnato e poi sostituito la precedente misura di contrasto alla povertà (SIA)[4]. Ciò non vuol dire che non esistessero, sia a livello regionale che nazionale, delle misure di sostegno al reddito[5] ma che esse, avendo una copertura geografica circoscritta o erogando degli importi variabili, non costituivano misure strutturali di sostegno al reddito per il contrasto alla povertà. Il Rei, adottato nel 2017 come misura nazionale di contrasto alla povertà[6], si colloca sin da subito nella tendenza europea e prevede, insieme al beneficio economico, una serie di servizi mirati a combattere la povertà sul lungo periodo.

Da elaborazioni degli Autori, a partire dai dati pubblicati dall’Osservatorio sul Reddito di inclusione dell’Inps (Inps 2019) sull’implementazione della misura nel suo primo anno di vita e dai dati delle indagini Istat sulla spesa delle famiglie e quella su reddito e condizioni di vita (IT-SILC) si arriva a stimare un tasso di copertura, ovvero la percentuale di nuclei familiari beneficiari della misura sul totale delle famiglie in povertà assoluta, che rappresentano la popolazione target della policy, pari al 26%; se si guarda invece al take-up, ovvero ai nuclei familiari beneficiari sui nuclei familiari aventi diritto al beneficio sulla base dei criteri di accesso alla misura, il valore raggiunge il 54%[7].

La spesa complessiva nel 2018 è stata di circa 818 milioni di euro[8] rispetto ai 1.747 milioni di euro stanziati per i beneficiari del Rei per lo stesso anno, in legge di bilancio, cioè meno della metà. Considerando i primi dati emersi e in un contesto marcato dall’entrata in vigore del Reddito di cittadinanza (Rdc)[9], in questo articolo si indaga il modo in cui il Rei ha affrontato la povertà, sia nel suo aspetto di protezione, sia nel suo aspetto di promozione. Più precisamente, gli obiettivi di questo articolo sono due: da un lato, fornire una prima analisi dei risultati ottenuti nel primo anno di erogazione del Rei soprattutto in termini di popolazione raggiunta; dall’altro, proporre una riflessione sull’equità dei criteri di riparto delle risorse relative al rafforzamento dei servizi (quota servizi e PON Inclusione).

Il lavoro che segue si compone di quattro sezioni. La sezione 2 introduce la policy e il contesto di riferimento. Si fornisce un’analisi del disegno del Rei, riflettendo sulla popolazione target e su quella beneficiaria; si fotografa, inoltre, il complesso fenomeno della povertà in Italia approfondendo il concetto dell’intensità della povertà. La sezione 3 propone una valutazione dei risultati, in termini di popolazione raggiunta, dopo un anno di implementazione. Tramite l’analisi dettagliata dei dati rilasciati dall’Inps e una serie di elaborazioni sulla base dei microdati delle indagini Istat sulla spesa delle famiglie e dell’indagine IT-SILC, si indaga il modo in cui il Rei si è proposto di contrastare la povertà e a che tipo di povertà si è rivolto. La sezione 4 presenta un’analisi della bontà ed equità, rispetto al fenomeno della povertà in Italia, dei criteri utilizzati per ripartire le risorse della quota destinata alla componente servizi del Rei. Partendo dai criteri di riparto delle risorse per il potenziamento dei servizi destinati ai beneficiari del Rei, si confrontano le somme allocate alle Regioni sia di fonte nazionale che comunitaria relativamente alla povertà e tenendo in considerazione le altre spese previste per il contrasto alla povertà a livello territoriale. L’ultima sezione conclude il paper e contiene delle raccomandazioni di policy con uno sguardo al Reddito di cittadinanza e alle future misure di sostegno al reddito in Italia.

2. Policy e contesto

Il Reddito di inclusione

La prima misura nazionale di sostegno al reddito in Italia fu introdotta da un governo di centro sinistra nel 1998. Il cosiddetto reddito minimo di inserimento era una misura sperimentale implementata in 39 Comuni all’inizio, di seguito estesa ad altri 233 Comuni nel 2001, prima di essere abolita con l’arrivo del nuovo Governo di centro destra lo stesso anno. Nel 2016, una nuova misura sperimentale è stata adottata, il cosiddetto Sostegno di Inclusione Attiva (SIA). Limitata ai Comuni di più di 250.000 abitanti in un primo tempo, la sperimentazione fu estesa nel 2017 all’intero territorio nazionale. Un anno dopo, la strategia perseguita dal SIA fu consolidata con l’adozione del decreto legislativo n. 147 del 15 settembre 2017 che stabilì la prima misura nazionale strutturale di sostegno al reddito, il Reddito di inclusione (si veda Natili 2019 per una ricostruzione storica dettagliata).

Il Rei è una misura di contrasto alla povertà composta da un sostegno economico e da servizi personalizzati per l’inclusione sociale e lavorativa. L’accesso alla misura è stato condizionato alla valutazione di criteri familiari ed economici[10], almeno per i primi sei mesi d’implementazione. A partire dal 1° luglio 2018, i requisiti familiari sono stati abrogati, condizionando l’accesso alla misura ai soli requisiti economici, dandole così un carattere universale. Fino a fine giugno 2018, quindi, rispetto ai criteri familiari, un nucleo familiare poteva beneficiare della misura se era presente un minorenne, una persona con disabilità, una donna in stato di gravidanza, o una persona over 55 in stato di disoccupazione. Rispetto ai criteri economici, rimasti immutati durante l’anno, un nucleo familiare poteva ricevere il Rei se presentava un ISEE non superiore a 6.000 euro, un ISRE (la componente reddituale dell’ISEE) non superiore a 3.000 euro, un patrimonio immobiliare (diverso dalla casa di abitazione) non superiore a 20.000 euro e un patrimonio mobiliare non superiore a 10.000 euro[11]. Per beneficiare del Rei, il nucleo familiare poteva recarsi ai servizi sociali del proprio Comune, o in uno degli altri punti di accesso messi a disposizione (soprattutto presso i Centri di assistenza fiscale), al fine di compilare il modulo che veniva di seguito inoltrato all’Inps.

Per la sua implementazione, sono stati stanziati 1.747 milioni di euro per l’anno 2018 per i beneficiari della policy, più ulteriori 272 milioni stanziati a valere sul Fondo nazionale per la lotta alla povertà (FNLP) da distribuire tra le Regioni italiane per i servizi di sostegno al Rei[12], in modo da poter affrontare la povertà in Italia tenendo in considerazione la sua distribuzione sul territorio nazionale; a queste risorse, infine, si aggiungono 160 milioni di euro a valere sul PON Inclusione[13]. Più in generale, oltre al disegno del Rei, tra le risorse destinate alla lotta alla povertà in Italia vanno tenute in considerazione: le misure regionali di sostegno al reddito[14], altri fondi delle politiche di coesione nazionali e comunitari, oltre ai fondi stanziati dai Comuni per la spesa sociale.

La povertà nel disegno del Rei e nel contesto italiano

In quanto politica di contrasto alla povertà, il Rei definisce ciò che si intende per povertà al fine di identificare il target della policy. Tuttavia, la lettura dei vari documenti che compongono insieme la normativa Rei propone una definizione non omogenea del fenomeno. Innanzitutto, il testo del decreto legislativo n. 147/2017 definisce la povertà come “la condizione del nucleo familiare la cui situazione economica non permette di disporre dell’insieme di beni e servizi necessari a condurre un livello di vita dignitoso”. Tale definizione suggerisce due elementi fondamentali. Il primo sottolinea un duplice approccio al fenomeno, basato sia sulla situazione economica, e quindi indirettamente reddituale, sia sul consumo delle famiglie. D’altronde, il riferimento alla dignità implica la definizione di un livello assoluto di povertà, in opposizione a una concezione relativa di essa[15].

Nel corso degli anni le definizioni, e quindi gli indicatori, della povertà si sono moltiplicate, talvolta fondate sul consumo delle famiglie, talvolta fondate sul reddito di esse; considerando un livello minimo di beni e servizi acquistabili essenziali alla sopravvivenza, o considerando le disparità tra individui in un contesto di riferimento. Queste definizioni rappresentano diversi aspetti della povertà e toccano le persone in modo diverso, non necessariamente sovrapponendosi. Per esempio, nel 2016, il 20,6% degli italiani era a ‘rischio di povertà’ – ossia con un reddito equivalente disponibile inferiore al 60% del reddito mediano nazionale –, il 12,1% era in ‘grave deprivazione materiale’[16] e il 12,8% delle persone era in famiglie a ‘molto bassa intensità lavorativa’ (famiglie in cui i mesi lavorati sono meno del 20% del potenziale)[17]. Secondo le stime del Ministero del Lavoro e delle politiche sociali (MLPS), solo il 5,6% della popolazione era contemporaneamente a rischio di povertà e in grave deprivazione materiale[18]. Lo stesso MLPS conclude che “in assenza di standard internazionali, il target di una politica come il Rei – che si tratti di famiglie con consumi inferiori a un paniere socialmente accettabile o, congiuntamente, con basso reddito e situazione di deprivazione materiale – sembra identificabile nell’intervallo tra il 5 e l’8% della popolazione”[19]. Allo stesso tempo però, i requisiti stabiliti dal decreto legislativo n. 147/2017 per l’accesso alla misura veicolano un concetto diverso di povertà, chiaramente basato su una definizione reddituale della stessa. In modo simile, il decreto di riparto delle risorse della quota servizi[20] summenzionata propone un concetto ancora diverso, stabilendo dei criteri per la distribuzione dei fondi, tre dei quali direttamente attinenti alla povertà: povertà assoluta, deprivazione materiale e rischio di povertà.

Seguendo le varie definizioni proposte dal legislatore nel circoscrivere il target della policy, questo è assimilabile, sia dal punto di vista concettuale che statistico, al concetto di povertà assoluta, definita da Istat come la situazione di una “famiglia con una spesa per consumi inferiore o uguale al valore monetario di un paniere di beni e servizi considerati essenziali per evitare gravi forme di esclusione sociale”[21]. Tuttavia, come si discuterà meglio nel terzo paragrafo della sezione 3, l’eleggibilità del beneficio dipende da un criterio reddituale, il che non implica necessariamente una corrispondenza tra l’essere nella condizione di povertà assoluta, e dunque rappresentare un target della policy, e l’essere eleggibile al beneficio.

Guardando al contesto italiano, la povertà assoluta interessava il 6,9% della popolazione nel 2017, ma tale dato nasconde una grande eterogeneità del fenomeno se si guarda ad alcune categorie considerate vulnerabili. In base ai dati Istat del 2017, tra tutte le famiglie in povertà assoluta il 29,2% era costituito da nuclei composti da soli stranieri, il 16,4% da famiglie miste e solo il 5,1% da famiglie di soli italiani. A livello di ripartizione geografica l’incidenza dei poveri assoluti tra le famiglie di soli stranieri era molto eterogenea, in particolare: al Nord era pari al 27,7%, al Centro al 23,8%, mentre nel Mezzogiorno era pari al 42,6%.

Se si guarda alla composizione delle famiglie per numero di componenti del nucleo familiare, emerge che circa il 17,8% delle famiglie con più di 5 componenti era in povertà assoluta contro il 5,3% delle famiglie di un solo componente, il 4,9% di quelle di 2 componenti, il 7,2 di quelle di 3 componenti e il 10,2% di quelle di 4 componenti. Il dato è ancora più allarmante se si considera la presenza di minori: secondo l’Istat nelle famiglie con 3 o più figli minori l’incidenza della povertà arrivava al 20,9%, ed era del 10,5% per le famiglie con almeno un minore.

Visto che il Rei si presenta come una misura che non solo vuole proteggere da una situazione di povertà transitoria, ma anche promuovere e accompagnare l’uscita dalla povertà nei casi in cui questa sia più endemica, oltre al livello di povertà assoluta, e quindi al numero di poveri, è interessante guardare un indicatore dell’intensità della povertà, fissata al 60% della mediana del reddito disponibile equivalente. Secondo l’indice FGT (Foster et al. 1984[22]) in Italia l’intensità della povertà è in media pari a 7,67 ma varia molto se si considera il numero di componenti del nucleo familiare passando da 5,23 per le famiglie con 2 componenti fino a 13,46, per le famiglie con 5 e più componenti (nel caso di famiglie mono-componenti è di 9,47). Se si guarda all’origine dei componenti, le famiglie di cittadini stranieri registrano un indice pari a 14,63 (lo stesso dato arriva a 15,60 se si prendono in considerazione solo le famiglie composte da extracomunitari) che è il doppio del dato se si guarda allo stesso indice per le famiglie di soli italiani (7,12).

3. Un anno di Rei

Come accennato nella sezione precedente, i dati pubblicati dall’Osservatorio sul Reddito di inclusione dell’Inps sull’implementazione della misura nel suo primo anno di vita (gennaio-dicembre 2018) mostrano che la percentuale di nuclei familiari beneficiari del Rei sul totale delle famiglie in povertà assoluta – che sarà qui denominato tasso di copertura – è pari al 26%: solo un nucleo familiare povero su quattro, all’incirca, ha avuto accesso al beneficio. Inoltre, come già anticipato, è stata spesa meno della metà (818 milioni di euro)[23] rispetto a 1.747 milioni di euro stanziati nel 2018 in legge di bilancio per i beneficiari del Rei.

Tasso di copertura a livello regionale

Con attenzione alla popolazione target della policy, nella tabella 1 emerge come il tasso di copertura del Rei vari significativamente da una regione all’altra: da un minimo del 6% in Trentino a un massimo del 59,7% in Sardegna che, insieme alla Campania, è l’unica regione che ha registrato un livello di partecipazione superiore al 50% della popolazione target. Inoltre, si nota come alcune regioni del Sud abbiano registrato livelli vicini se non addirittura inferiori alla media nazionale. A questo proposito, i bassi livelli registrati dalla Basilicata e dalla Calabria risultano difficili da spiegare rispetto al livello di povertà che si registra in entrambe le regioni.

 Tabella 1

Tasso di copertura nella popolazione più vulnerabile

Rispetto alla capacità della policy di definire il corretto target e di promuovere l’uscita dalla povertà, e non solo quindi di proteggere da episodi occasionali dovuti a situazioni contingenti, è centrale la questione del tasso di copertura dei gruppi di popolazione ritenuti più vulnerabili. Nelle tabelle 2 e 3 si analizza quindi il tasso di copertura, sia per composizione del nucleo familiare dei beneficiari Rei, che per origine dei componenti del nucleo familiare, considerando le famiglie di extracomunitari e le famiglie di cittadini italiani e stranieri comunitari[24].

Rispetto alla composizione del nucleo familiare, va considerato che le famiglie composte da un unico membro sono ‘drasticamente’ aumentate a partire dal primo luglio (rappresentavano il 17% dei nuclei beneficiari nei primi sei mesi dell’anno e il 39% dall’universalizzazione dei requisiti a luglio; si veda Inps 2019 per maggiori dettagli), in conseguenza della rimozione dei criteri familiari di accesso al beneficio. Il tasso di copertura è molto simile tra le cinque classi di componenti del nucleo familiare con un picco nella classe più numerosa[25].

Tabella 2

 

L’accesso al Rei prevedeva dei criteri di residenza relativamente facili da riscontrare[26], permettendo ai beneficiari potenziali stranieri di accedere facilmente alla misura. Nonostante ciò, i percettori con cittadinanza extracomunitaria che hanno beneficiato della misura rappresentano l’11% del totale dei beneficiari[27]; una percentuale relativamente bassa se si considerano i livelli di incidenza (nel 2017 il 29,2% delle famiglie in povertà assoluta era composto da cittadini stranieri) e intensità della povertà nei nuclei familiari composti da soli stranieri di cui si è discusso nella sezione precedente. Gli stranieri (extracomunitari e comunitari) residenti in Italia rappresentavano nel 2017 l’8,3% della popolazione. Da una stima dei dati della RCFL 2017, gli stranieri extracomunitari sono circa 3,5 milioni (circa il 5,8% della popolazione italiana). Si tratta di 1,329 milioni di famiglie secondo stime di chi scrive, su dati IT-SILC.

Se si guarda alla cittadinanza dei componenti del nucleo familiare, divisi tra cittadini italiani e stranieri comunitari e cittadini extracomunitari, emerge un tasso di copertura molto basso per questi ultimi e, nonostante questo, la quota di famiglie di stranieri non comunitari che ha avuto accesso al Rei (3,82%) rappresenta più del doppio della quota di italiani e stranieri comunitari (a dimostrazione dell’incidenza della povertà in questa categoria di persone).

Povertà in Italia e raggiungimento dei beneficiari del Rei a livello regionale

Il successo di una misura di contrasto della povertà dipende dalla sua capacità di raggiungere effettivamente i destinatari di tale misura. Il disegno della policy è a questo riguardo fondamentale. Va comunque sottolineato che oltre a una spiegazione intrinseca alla misura, il mancato raggiungimento dei potenziali beneficiari viene spiegato in letteratura con una serie di variabili macro e micro che vanno dal rischio di stigma sociale, al costo-opportunità di fare domanda piuttosto che impiegare il proprio tempo facendo altro, alla capacità o alle preferenze degli attuatori della misura a livello territoriale, alla bontà dei servizi di sostegno alla policy che dipendono dalle risorse investite e dalla rete dei servizi sociali presente.

Tabella 3 Un anno di Rei: tasso di copertura per origine dei componenti della famiglia[28]

 Tabella 3

La lunga esperienza degli altri Paesi dell’Unione europea sulle misure di sostegno al reddito dice molto su quali dovrebbero essere i livelli di take-up medi per questo tipo di politiche. Malgrado il fatto che tali politiche siano state avviate già dagli anni ’80 e ’90 – in Francia, Germania o Regno Unito, per citarne solo alcuni – il tasso di raggiungimento è piuttosto basso; ossia si registra un numero degli aventi diritto che effettivamente chiedono di beneficiare della misura inferiore al bisogno. Le stime disponibili nei Paesi OCSE rivelano che il tasso di raggiungimento dei beneficiari dei programmi sociali si posiziona tra il 40% e l’80% (Hernanz et al. 2004), dato che varia significativamente da un Paese all’altro e da una misura politica all’altra (Eurofound 2015).

Il basso raggiungimento registrato dal Rei, in linea generale, potrebbe rispecchiare in un certo senso la novità della misura nel contesto italiano. Il Rei è effettivamente entrato in campo a dicembre 2017 e, secondo le prime stime realizzate da Inapp[29] sui dati PLUS – Participation Labour and Unemployment Survey – raccolti a ottobre 2018, solo il 40,4% della popolazione era a conoscenza dell’esistenza di una misura nazionale di sostegno al reddito. Molto interessante è la percentuale della popolazione che afferma l’inesistenza di tale misura, ovvero il 45%, mentre coloro che dichiarano di non sapere sono il 14,6%.

Va però notato, come discusso nella sezione precedente, che il decreto legislativo n. 147/2017 fa riferimento a un target della popolazione beneficiaria della misura che corrisponde alla definizione di povertà assoluta fornita dall’Istat, definita sulla base della spesa[30], mentre l’accesso al Rei fa riferimento a un parametro reddituale, che tiene conto dei patrimoni, della composizione familiare e della presenza di persone disabili in famiglia, vale a dire l’ISEE. La popolazione target della misura viene quindi identificata con una definizione diversa da quella usata per definire i criteri di accesso e questo, come viene sottolineato anche da Alleanza contro la povertà (2018) e dalla letteratura (Baldini et al. 2018; Gori et al. 2016, 78), può portare a una distorsione.

Il risultato è che dei circa 1,77 milioni di nuclei familiari (5 milioni di persone, secondo i dati Istat) in condizione di povertà assoluta, quelli che si riesce a raggiungere sulla base del disegno della policy, che risulta dunque essere più restrittivo, sono solo una quota: secondo stime Inapp (Gallo e Sacchi 2019) la platea potenziale, sulla base dei requisiti di accesso, sarebbe infatti pari a 862.000 nuclei familiari (circa 2,5 milioni di persone, dichiarati dal policy maker). Inoltre, come sottolineato anche da Alleanza contro la povertà (2018), proprio a causa della diversa definizione usata dal legislatore per individuare il target della misura e per definire i criteri di accesso, nella platea dei beneficiari potrebbero trovarsi nuclei familiari che non sono nella condizione di povertà assoluta e non dovrebbero quindi avere accesso alla policy.

Figura 1 

Una misura di sostegno al reddito dovrebbe essere in grado di concentrarsi e di raggiungere invece proprio i più bisognosi. A questo proposito, si è quindi deciso di osservare insieme al tasso di copertura del Rei anche l’indicatore d’intensità della povertà. Come anticipato, il tasso di copertura della povertà varia significativamente da una regione all’altra, tale variazione non sembra essere tanto correlata alla percentuale di famiglie povere in una data regione quanto all’intensità della povertà. Considerando prima la figura 1, la distribuzione delle 20 regioni italiane suggerisce una relazione debole tra il tasso di povertà e il tasso di copertura (r=0,11). Infatti, sono poche le regioni che presentano allo stesso tempo un tasso di copertura e una percentuale di famiglie in povertà assoluta superiore alla media (Puglia, Campania e Sicilia). Nel caso di una perfetta correlazione tra le due variabili, le regioni si sarebbero infatti distribuite su una diagonale che intersecherebbe il grafico, partendo dai valori minimi a quelli massimi per le due variabili.

Diversamente, la figura 2 suggerisce una relazione più lineare tra l’indice d’intensità della povertà (FGT) e il tasso di copertura nelle regioni italiane (r=0,72). Il tasso di copertura risulta maggiore proprio per le regioni che presentano un livello d’intensità della povertà maggiore, ossia dove i poveri sono più poveri. In effetti, le regioni si distribuiscono in tre gruppi ben distinti: le regioni dove la povertà è meno intensa e la copertura della misura meno pronunciata (nel quadrante in basso a sinistra); le regioni dove la povertà è relativamente intensa e la copertura della misura leggermente superiore alla media (nel quadrante in alto a destra, vicino allo zero sui due assi); e le regioni dove la povertà è decisamente più alta e la copertura notevolmente più significativa (in alto a destra; Sardegna, Campania e Sicilia). Due casi si distinguono dalla tendenza: da una parte la Toscana presenta una copertura superiore alla media mentre la povertà non è particolarmente intensa; dall’altra parte, la Calabria è caratterizzata da una povertà significativamente intensa, mentre la percentuale di nuclei familiari poveri ad aver beneficiato della misura è ben al di sotto della media.

Figura 2 

Effettivamente, la necessità dell’utenza di ricorrere a delle misure di sostegno al reddito si fa potenzialmente maggiore dove la povertà è più severa e dove l’importo costituisce un incentivo maggiore alla partecipazione alla misura; un’ipotesi supportata dalla letteratura in merito e che conviene approfondire (per una rassegna della letteratura in merito si veda Hernanz et al. 2004).

Allo stesso tempo però l’impegno necessario a raggiungere i più poveri tra i poveri non si esaurisce con l’erogazione di un beneficio economico e lo sforzo per aiutare un nucleo familiare molto lontano dalla soglia della povertà richiede maggiori risorse e servizi mirati (Alleanza contro la povertà 2018). A questo proposito segue la sezione di approfondimento sui criteri di riparto delle risorse previste per i servizi Rei.

4. Servizi per l’inclusione sociale: disegno e allocazione delle risorse

Le differenze regionali

Un aspetto fondamentale del Rei, in quanto politica di contrasto alla povertà, riguarda i servizi erogati ai nuclei beneficiari al fine di facilitare la loro inclusione socio-lavorativa. Tali servizi comprendono, ma non si limitano a: servizi per l’accesso alla misura, servizi per la valutazione multidimensionale, finalizzata a identificare i bisogni del nucleo familiare, e servizi per i sostegni da individuare nel progetto personalizzato di inclusione (per maggior dettagli, si rimanda all’art. 7 del decreto n. 147/2017). Per finanziare la quota servizi Rei, sono stati stanziati circa 272 milioni di euro a valere sul Fondo nazionale per la lotta alla povertà (FNLP) da distribuire tra le regioni italiane. A queste risorse si aggiungono le risorse del PON Inclusione, quota italiana a valere sul Fondo sociale europeo (FSE), che per il 2018 ammontano a circa 160 milioni di euro. Le risorse summenzionate sono state allocate alle regioni italiane a seconda di criteri che andremo ad analizzare di seguito.

Prima ancora di approfondire il tema, occorre precisare che i servizi Rei si inseriscono in un contesto istituzionale, costituito dalla rete dei servizi sociali erogati dai Comuni italiani, che le risorse stanziate nell’ambito del Rei vanno a potenziare al fine di conseguire gli obiettivi specifici della policy. Se si considera la spesa dei Comuni in materia, si osserva un divario significativo tra le regioni che le risorse Rei, in quanto mezzo per la garanzia dei livelli essenziali delle prestazioni, avrebbero dovuto colmare. Inoltre, da un’analisi condotta dagli Autori sui dati Istat sul finanziamento dei servizi sociali a livello regionale[31], in termini di spesa pro capite, e la povertà a livello regionale si evidenzia una relazione negativa tra i due fenomeni. Ovvero, in quelle regioni dove maggiore è la povertà, sia in termini assoluti che in termini di ‘intensità’, i servizi sociali sono, almeno da un punto di vista delle risorse investite, lacunosi. La figura 3 propone una rappresentazione delle risorse messe a disposizione per i servizi Rei confrontata alla spesa pro capite dei Comuni italiani per i servizi e gli interventi sociali. Se alcune regioni in cui i servizi sociali sono più deboli (a sinistra nel grafico) ricevono più risorse per l’implementazione del Rei (Calabria, Campania, Puglia, Sicilia), altre regioni sembrano svantaggiate dalla distribuzione di queste, tra cui Molise, Basilicata, Abruzzo, Umbria e Marche per citarne solo alcune. Tale ripartizione pone una domanda cruciale rispetto al disegno stesso della misura: le risorse per i servizi sono in grado di rispondere, in modo omogeneo su tutto il territorio, alla povertà?

Figura 3 

Per rispondere a questo quesito, occorre analizzare la relazione tra allocazione delle risorse Rei e distribuzione della povertà, nelle sue varie forme, sul territorio nazionale. È quindi necessaria una riflessione sui criteri di riparto delle risorse selezionati dal policy maker, in quanto rappresentano la sua interpretazione del fenomeno povertà che si vuole combattere. Questo è soprattutto vero per la quota servizi Rei a valere sui fondi nazionali (FNLP) in quanto si prevede una distribuzione a seconda della povertà dei nuclei familiari in Italia; meno vero per le risorse a valere sul PON, in quanto la loro distribuzione è calcolata sulla base di criteri macroeconomici di sviluppo delle regioni[32].

Per far fronte alla complessità del fenomeno povertà, il decisore pubblico ha stabilito i seguenti cinque criteri per la distribuzione delle risorse della quota servizi Rei (FNLP)[33]:

  1. la quota regionale di beneficiari del Sostegno per l’inclusione attiva (SIA);
  2. la quota di persone in condizione di povertà assoluta stimata applicando alla popolazione regionale l’incidenza della ripartizione territoriale (come definito dall’Istat);
  3. la quota di persone in condizione di grave deprivazione materiale (come definita da Eurostat);
  4. la quota di popolazione a rischio di povertà (come definita da Eurostat);
  5. la popolazione residente (Istat).

 

A ogni criterio è stato attribuito lo stesso peso nel calcolo.

Considerati insieme, questi criteri pongono due criticità maggiori: la popolazione residente è sovra-rappresentata e si favoriscono le regioni più popolose ma non necessariamente più povere; la povertà è definita in maniera ridondante e questo non consente di affrontare il fenomeno nella sua complessità.

La sovra-rappresentazione della popolazione residente nella ripartizione delle risorse FNLP

La popolazione residente viene, dunque, considerata in un criterio apposito (criterio v) pur essendo già rappresentata tramite il calcolo degli altri criteri. Questo favorisce le regioni più popolose, a prescindere dai loro livelli di povertà. Rispetto al considerare la popolazione residente come criterio a sé stante, il problema era già stato evidenziato (Leone 2018). Tuttavia, il peso della popolazione residente come da criterio v non sembra influire significativamente sull’allocazione delle risorse. Se si considerano la regione che avrebbe perso di più, la Lombardia, e quella che avrebbe guadagnato di più, la Sicilia, se fosse stato rimosso il criterio della popolazione residente tra quelli di riparto, l’importo aggiunto o sottratto rappresenterebbe circa l’11% delle somme allocate alle due regioni secondo il decreto[34] (si veda Leone 2018, per il dettaglio delle allocazioni con e senza il criterio in questione).

Tenere conto della quota di popolazione residente è necessario in quanto un tasso di povertà mediamente basso in una regione popolosa può tradursi in un numero assoluto di famiglie in povertà significativamente alto, la Lombardia ne è un esempio rilevante. Tuttavia, il modo in cui viene considerata inevitabilmente penalizza le regioni più piccole, alcune delle quali sono caratterizzate da una maggior concentrazione della povertà. Questo perché da una parte si considera il peso della popolazione regionale (criterio v) e da un’altra parte si considera il peso della popolazione residente anche nella stima della povertà nel territorio, come da criteri ii), iii) e iv), che riporta la povertà nelle regioni al totale nazionale. Per esempio, sempre considerando la Lombardia, e seguendo il metodo di stima usato dal MLPS[35], il tasso di povertà regionale è stimato a circa il 7,6% nel 2017 che, riportato a livello dell’intero territorio, rappresenta il 15,2% della povertà in Italia. Diversamente, se si considera la Calabria, regione meno popolata, si stima un tasso di povertà di circa il 10,8% (sempre seguendo il metodo di calcolo del MLPS) che, riportato a livello dell’intero territorio rappresenta il 4,2% della povertà in Italia. La figura 4 illustra questo aspetto, considerando però una stima della povertà assoluta basata sulle elaborazioni degli Autori sui micro dati Istat.

Figura 4 

Se è vero che la quota servizi dovrebbe considerare il numero di famiglie da prendere in carico da parte dei servizi sociali, è anche vero che l’onere a carico della regione dipende da quanti dei suoi amministrati si trovano in condizioni di povertà sul totale della popolazione residente nella regione. In quest’ottica la Calabria appare come la grande perdente di questo meccanismo di attribuzione delle risorse, infatti, la percentuale di famiglie in povertà assoluta rappresenta, seguendo le elaborazioni di chi scrive, circa il 20% delle famiglie residenti in Calabria ma, riportata al livello nazionale, solo il 4,2% della povertà in Italia (come da criterio ii). Il Molise e l’Umbria si trovano in situazioni simili, anche se meno pronunciate. Si nota inoltre che le regioni più avvantaggiate con questa ripartizione sono quelle in cui, tendenzialmente, la spesa pro capite dei Comuni per interventi e servizi sociali è più alta, tra cui Emilia-Romagna, Liguria, Lombardia, Lazio e Piemonte; si tratta, quindi, di regioni con una rete di servizi sociali potenzialmente più estesa ed efficiente.

Ridondanza dei criteri: l’intensità della povertà come criterio chiave

Oltre al metodo usato per stimare la povertà assoluta come da criterio ii), l’applicazione di un simile metodo per il calcolo dei criteri iii) e iv) porta a una stima ridondante della povertà che non è in grado di cogliere il fenomeno nella sua complessità né di tenere conto delle dotazioni delle varie Regioni per farvi fronte. La figura 5 illustra la correlazione tra i tre criteri summenzionati, il che sottolinea la ripetizione dell’informazione da un criterio all’altro e, di conseguenza, il sovrappeso della popolazione residente.

Figura 5 

D’altro canto, tra le varie misure della povertà prese in considerazione nel riparto della quota servizi del Rei non si fa riferimento a una misura che tenga in considerazione l’intensità della povertà. I criteri di riparto considerano, infatti, come ulteriori misure della povertà la deprivazione materiale, come definita da Eurostat (criterio iii), e il rischio di povertà (criterio iv), indicatori di fatto altamente correlati a quello della povertà assoluta come definita dall’Istat (si veda la figura 5). L’intensità della povertà, calcolata su base reddituale, osserva, invece, una distribuzione diversa (coefficiente di correlazione con la povertà assoluta: 0,22), indice del fatto che si tratta di un fenomeno diverso, che una misura di contrasto alla povertà dovrebbe considerare[36]. È infatti plausibile che i più poveri dei poveri richiedano una maggior attenzione da parte dei servizi sociali per il loro reinserimento nel tessuto socio-lavorativo (Alleanza contro la povertà 2018). Come sottolineato dalla Federazione internazionale della Croce Rossa e della Mezzaluna Rossa nel rapporto sull’impatto della crisi economica: “l’aumento della povertà e della sua intensità si traduce nell’aumento della distanza sociale da percorrere per il proprio reinserimento nella società mainstream” (IFRC 2013).

La figura 6 mostra una diversa immagine del fenomeno della povertà e delle misure di sostegno al reddito in Italia. Innanzitutto, l’indice d’intensità della povertà FGT (2015) presenta un andamento molto diverso tra le regioni italiane: è sicuramente molto più basso nelle regioni del Nord Italia e alcune del Centro (Valle d’Aosta, Friuli-Venezia Giulia, Toscana, Emilia-Romagna, Veneto, Piemonte, Lombardia) e più alto nelle regioni del Centro e Sud. Inoltre, l’analisi dei due indicatori insieme mostra come per le prime, pur registrandosi valori alti (in termini assoluti) di povertà, la distanza in media dalla soglia di povertà sia più bassa e quindi il fenomeno povertà risulta essere meno intenso e concentrato verso la soglia stessa. Per le regioni del Centro e del Sud il discorso è inverso, in molti casi (si vedano Molise, Basilicata, Abruzzo, Sardegna e Calabria), a dispetto di bassi valori assoluti in termini di numero di famiglie povere, la distanza media dei poveri dalla soglia della povertà è più alta e, quindi, il fenomeno della povertà sembra essere molto più intenso e preoccupante. Rapportando tutto all’allocazione delle risorse della quota servizi del Rei, risulta evidente come non prendere in considerazione il fenomeno dell’intensità della povertà rischi di penalizzare le regioni più bisognose.

 Figura 6

Quota servizi Rei e risorse PON Inclusione allocate nell’ambito del Rei

Le risorse del PON Inclusione dedicate all’implementazione dei servizi di inclusione socio-lavorativa del Rei sono, invece, distribuite alle regioni a seconda del loro livello di sviluppo economico[37] e si sommano a quelle della quota servizi del FNLP. In alcune regioni, le risorse PON aumentano significativamente i mezzi a disposizione per il supporto ai nuclei beneficiari del Rei. Il modo in cui le risorse PON si aggiungono alla quota servizi Rei corregge, in un certo senso, la ripartizione di quest’ultima, soprattutto per la Calabria che, come accennato sopra, si trova ad essere la grande perdente della ripartizione della quota servizi Rei a valere sul FNLP. Se si considerano le misurazioni della povertà introdotte sopra, ovvero l’indice di intensità della povertà e il numero di famiglie in povertà assoluta, insieme al totale delle risorse per i servizi Rei, il rapporto tra allocazione delle risorse e povertà sembra molto più bilanciato con un certo equilibrio tra intensità della povertà e numerosità delle famiglie in povertà assoluta (figura 7).

 Figura 7

Se, nel complesso, le risorse sembrano corrispondere alla distribuzione della povertà sul territorio, la loro ripartizione non sembra in grado di compensare il divario della spesa sociale dei Comuni da regione a regione. Le regioni che appartengono alla categoria ‘regioni meno sviluppate’ ricevono una quota PON maggiore delle altre, permettendo così un potenziamento dei servizi sociali in esse. Calabria, Campania, Puglia e Sicilia sono le regioni che, considerando la spesa sociale dei loro Comuni, beneficiano di più dell’allocazione delle risorse PON. La minore allocazione di fondi potrebbe rivelarsi problematica nella coda bassa e, nello specifico, per il Molise, l’Abruzzo e la Basilicata, dove la povertà è intensa, la percentuale di famiglie povere sul totale delle famiglie residenti in regione piuttosto alta, la spesa sociale dei Comuni piuttosto bassa e la percentuale della loro allocazione sul totale disponibile piuttosto bassa.

5. Conclusioni: un anno di Rei e uno sguardo al Reddito di cittadinanza

L’attivazione del Sostegno per l’inclusione attiva, che ha preceduto e lasciato il posto al Rei e la sua imminente sostituzione con il Reddito di cittadinanza, indicano chiaramente l’impegno dell’Italia per sostenere il reddito delle famiglie povere e colmare, dunque, il gap con gli altri Paesi dell’UE. L’analisi del Rei, in quanto prima misura universale di questo genere, offre la possibilità di trarre utili riflessioni per un migliore disegno e una più efficace implementazione delle misure di sostegno al reddito che lo seguiranno, prima di tutto il Reddito di cittadinanza.

In primo luogo, riguardo al raggiungimento della policy, dalla nostra analisi risulta una forte eterogeneità sul territorio nazionale, con tassi di copertura che vanno da oltre il 50% (Sardegna, Campania) a meno del 10% (Trentino e Friuli-Venezia Giulia) e una media del 26% (che corrisponde a circa l’1,8% della popolazione se si guarda all’incidenza della misura). Gli scarsi risultati della policy, in termini di raggiungimento del target, emergono soprattutto nei dati relativi ad alcune regioni dove il fenomeno della povertà è più marcato che in altre: Basilicata e Calabria registrano tassi di copertura inferiori alla media nazionale.

In secondo luogo, l’analisi della povertà nel territorio italiano suggerisce l’esistenza di gruppi particolarmente vulnerabili, quali le famiglie numerose e i nuclei di cittadini stranieri che rappresentano rispettivamente il 17,8% e il 29,2% delle famiglie povere in Italia nel 2017. Questi gruppi presentano diversi livelli di accesso alla misura. Da un lato, le famiglie numerose in situazione di povertà assoluta sembrano maggiormente raggiungibili: il 28,5% di loro ha beneficiato del Rei, che corrisponde al 5% delle stesse famiglie che risiedono sul territorio italiano in termini d’incidenza. D’altra parte, i nuclei composti da soli stranieri extracomunitari sono sottorappresentati nella quota dei beneficiari Rei: solo il 13,5% delle famiglie composte da soli cittadini extracomunitari in condizione di povertà assoluta ha beneficiato del Rei, che corrisponde a circa il 3,8% di quelle che risiedono in Italia. Pur essendo l’incidenza di questi due gruppi decisamente maggiore rispetto a quella media italiana, il dato è inadeguato se si raffronta con la rilevanza di queste due categorie nell’universo di famiglie in povertà assoluta in Italia.

Infine, il tasso di copertura del Rei, a livello regionale, appare correlato all’intensità della povertà piuttosto che al numero di nuclei familiari in situazione di povertà assoluta, ma nel disegno della policy si dedica poca attenzione all’intensità del bisogno e si privilegiano criteri relativi alla dimensione del fenomeno, soprattutto per quanto riguarda i criteri di riparto delle risorse dedicate ai servizi di accompagnamento. Al fine di promuovere le famiglie povere nel loro percorso di reinserimento socio-lavorativo, il Rei ha infatti previsto l’erogazione di servizi mirati. Il finanziamento di tali servizi è stato, però, distribuito alle regioni italiane sulla base di cinque criteri che, insieme, tendono a considerare la numerosità delle famiglie povere più che l’intensità della povertà a livello territoriale. Questa modalità di distribuzione delle risorse sottovaluta lo sforzo necessario a sollevare dalla povertà i nuclei familiari in situazione di maggior bisogno e tende, incidentalmente, a privilegiare le regioni italiane con una maggior spesa pro capite in servizi sociali e dunque con una rete di servizi potenzialmente più estesa ed efficiente.

Dall’analisi descrittiva del tasso di copertura e del disegno del Rei presentata in questo articolo, sorge una serie di questioni sulla capacità della policy di raggiungere i più bisognosi, che risultano ancor più preoccupanti se si guarda al Reddito di cittadinanza. I maggiori campanelli d’allarme riguardano due tra le categorie più vulnerabili in Italia ovvero le famiglie numerose e i cittadini stranieri. I requisiti di accesso al Rei erano, infatti, decisamente più inclusivi rispetto a entrambe le categorie.

Riguardo alle prime, la scala di equivalenza prevista per il Rdc non consente di tenere in considerazione tutti i componenti del nucleo familiare, penalizzando nell’accesso alla misura e nel calcolo del beneficio economico proprio le famiglie più numerose, che, come si è visto, rappresentano una percentuale rilevante delle famiglie povere in Italia e sono tra quelle maggiormente raggiunte dalla policy e, dunque, che hanno manifestato un concreto bisogno. Con il passaggio al Rdc, i cittadini stranieri devono essere:

  1. in possesso della cittadinanza di Paesi facenti parte UE o, se appartenente a un Paese terzo extra UE, devono essere titolari del permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo;
  2. residenti in Italia da almeno 10 anni, di cui gli ultimi due in modo continuativo.

 

Le previsioni di accesso alla nuova misura per le famiglie di stranieri non sembrano, quindi, poter essere migliori rispetto ai deludenti risultati raggiunti con il Rei.

Dai risultati dell’analisi qui presentata rispetto alla rilevanza dell’intensità della povertà, per comprendere il fenomeno e affrontarlo adeguatamente, emerge un ulteriore timore rispetto alla capacità della nuova misura di sostegno al reddito di superare i limiti sinora evidenziati nel disegno del Rei. Il Rdc prevede infatti una platea di beneficiari più ampia e importi erogabili maggiori e, in quanto unica misura in grado di contrastare la povertà, se non adeguatamente sostenuto da servizi mirati che tengano conto della complessità del fenomeno della povertà, oltre che da criteri di accesso sensibili al livello di vulnerabilità dei potenziali beneficiari, rischia di concentrarsi di fatto su chi è più vicino alla soglia della povertà e rischia di aver effetti limitati sui gruppi più bisognosi.

Alcune delle evidenze qui emerse necessitano di un ulteriore approfondimento a livello micro per trovare le adeguate risposte, soprattutto per quanto riguarda l’individuazione dei fattori che hanno contribuito a determinare un così scarso raggiungimento della popolazione target e che prescindono dal design della politica.

Appendice Metodologica

Per le analisi sul Rei è stato utilizzato il file dei microdati a uso pubblico dell’Istat relativi alla rilevazione dell’anno 2017 (reperibili dal sito https://www.istat.it/it/archivio/180356), nel quale è disponibile la variabile ricostruita che identifica la condizione di ‘povertà assoluta’. Le stime della povertà nel 2017 elaborate dall’Istat e disponibili sul sito http://dati.istat.it/Index.aspx?DataSetCode=DCCV_POVERTA sono disaggregate a livello regionale solamente per l’incidenza della povertà relativa, mentre per la povertà assoluta la massima disaggregazione è fornita a livello delle cinque ripartizioni geografiche. Pertanto, non avendo altre fonti più autorevoli a disposizione su questa variabile di interesse, è stata stimata direttamente la povertà assoluta a livello regionale mediante i pesi di calibrazione forniti nei microdati, al fine di poter rappresentare tale fenomeno anche a livello regionale. Tuttavia, questo metodo presenta delle criticità in termini di affidabilità del dato. A causa delle ridotte dimensioni campionarie, la variabilità delle stime a livello regionale della povertà assoluta è elevata, soprattutto nelle regioni piccole, e con ampie variazioni da un anno all’altro. Non è stato possibile calcolare il livello di precisione di tali stime, mediante i relativi intervalli di confidenza, a causa dell’indisponibilità delle informazioni necessarie.

Da un confronto tra i dati ottenuti secondo diverse definizioni di povertà, si evidenzia che, nonostante le criticità in termini di affidabilità del dato, la stima del numero di famiglie in povertà assoluta calcolata come descritto in precedenza si rivela attendibile. Le tre stime paragonate sono:

  1. stime del numero delle famiglie in povertà assoluta calcolate come descritto precedentemente sulla base dei microdati Istat;
  2. stime territoriali (cinque macroaree: Nord-Ovest, Nord-Est, Centro, Sud e Isole) della povertà assoluta applicate alla popolazione regionale, seguendo il metodo usato dal MLPS per il calcolo del criterio ii);
  3. stime sul numero di nuclei familiari sotto la soglia del 40% della mediana del reddito disponibile equivalente sulla base dei dati IT-SILC 2015.

 

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1

L’idea stessa di inclusione attiva offre margini di interpretazione significativi. Per Vandenbroucke et al. (2013), l’idea di inclusione attiva rappresenta un cambiamento di paradigma delle politiche di reddito minimo. Tale cambiamento interviene in un contesto più ampio di riforma del welfare state in Europa che si orienta verso una maggiore importanza della partecipazione al mercato del lavoro (Hemerijck 2013). In tal senso, le politiche di assistenza sociale sono state progressivamente condizionate a doveri di attivazione, accompagnate da una visione più liberista della povertà e dell’esclusione sociale in Europa (Daly 2010).

2

Non stabiliamo un legame di causa ed effetto tra adozione del programma Horizon 2020 e l’adozione in Grecia (o in Italia) di misure di supporto al reddito. Ciò detto, gli stanziamenti finanziari disposti dal suddetto programma sembrano aver avuto un effetto di enabler sia in Grecia (Ministero greco delle Finanze 2014) sia in Italia (Jessoula e Madama 2018).

3

Introdotto a decorrere dal 1° gennaio 2018 con decreto legislativo 15 settembre 2017, n. 147.

4

Introdotto con decreto ministeriale del 26 maggio 2016.

5

Madama et al. (2013), per esempio, stabiliscono che nel 1990, circa il 60% dei Comuni erogava un tipo di sostegno economico al reddito.

6

Il Rei costituisce livello essenziale delle prestazioni. Si veda il decreto legislativo 15 settembre 2017, n. 147.

7

La stima della popolazione eleggibile è stata tratta da Gallo e Sacchi (2019).

8

Elaborazioni Inapp sui dati dell’Osservatorio sul Reddito di Inclusione, Report gennaio-dicembre 2018.

9

“Misura unica di contrasto alla povertà, alla disuguaglianza e all’esclusione sociale, a garanzia del diritto al lavoro, nonché diretta a favorire il diritto all’informazione, all’istruzione, alla formazione, alla cultura attraverso politiche volte al sostegno economico e all’inserimento sociale dei soggetti a rischio di emarginazione nella società e nel mondo del lavoro” [...] (art. 1 del decreto legge n. 4 del 28/01/2019, Disposizioni urgenti in materia di reddito di cittadinanza e di pensioni).

10

Ai quali si aggiungono condizioni di residenza e soggiorno.

11

Per maggiori dettagli, si veda l’art. 3 del decreto legislativo n. 147 del 15 settembre 2017.

12

Decreto interministeriale del 18 maggio 2018, Criteri di riparto del Fondo per la lotta alla povertà e all’esclusione sociale e l’adozione del Piano per gli interventi e i servizi sociali di contrasto alla povertà, ai sensi, rispettivamente, dell’articolo 7, comma 4 e dell’articolo 21, comma 6, lettera b), del decreto legislativo 15 settembre 2017, n. 147. Altri 25 milioni del FNLP sono riservati a interventi e servizi in favore di persone in condizione di povertà estrema e senza dimora (20 milioni) e interventi, in via sperimentale, in favore di coloro che al compimento della maggiore età, vivano fuori della famiglia di origine sulla base di un provvedimento dell’autorità giudiziaria, volti a prevenire condizione di povertà (5 milioni).

13

Nello stesso decreto interministeriale del 18 maggio 2018 (tabella 2. sez. b del decreto).

14

Per approfondimenti vedi Napolitano e Arabia (2018).

15

Sin dalla filosofia kantiana, l’idea di dignità è strettamente legata all’essere umano. La dignità è un valore assoluto ancorato nelle capacità razionali di moralità e non tanto una questione di grado (Korsgaard 1996). Per estensione, parlare di un livello di vita dignitoso vale a considerare il livello di vita che consente alla persona di esercitare le sue capacità razionali di moralità.

16

Si definiscono in ‘deprivazione materiale’ le famiglie per le quali si riscontrano quattro delle seguenti nove problematiche individuate a livello UE: dal non potersi permettere la TV, l’auto, la lavatrice, il telefono, un pasto adeguato ogni due giorni, una settimana di ferie l’anno lontano da casa, al non poter far fronte a una spesa imprevista di 800 euro, non riuscire a riscaldare adeguatamente l’abitazione, essere in arretrato con i pagamenti (mutuo, affitto, bollette).

17

Queste stime sono citate dal MLPS nel Piano per gli interventi e i servizi sociali di contrasto alla povertà 2018-20 e si basano sui dati Eurostat.

18

Si veda Piano per gli interventi e i servizi sociali di contrasto alla povertà 2018-20, allegato A, decreto del 18 maggio 2018, p. 26.

19

Ivi, p. 26.

20

Decreto interministeriale del 18 maggio 2018, art. 4.

22

Per questo paper, l’intensità della povertà è stata calcolata seguendo la formula FGT1 (poverty gap), con una soglia di povertà fissata al 60% della mediana del reddito disponibile equivalente, in conformità con la metodologia proposta da Eurostat. L’indice esprime la distanza media di tutti gli individui presenti nella popolazione dalla soglia di povertà (ipotizzando che la distanza individuale sia nulla per tutti i ‘non poveri’) e aumenta all’aumentare della distanza in senso negativo dalla stessa soglia, fino ad assumere valore pari a 100.

23

Elaborazioni Inapp sui dati dell’Osservatorio sul Reddito di Inclusione, Report gennaio-dicembre 2018.

24

Questa classificazione dipende dalla modalità di presentazione del dato rilasciato da Inps nel bollettino dell’Osservatorio.

25

Va detto che la scala di equivalenza del reddito di cittadinanza tenderebbe a penalizzare proprio le famiglie più numerose e quindi a ridurre quei nuclei che sembrano avere una maggiore propensione a richiedere una misura di sostegno al reddito (Sacchi 2019). La scala di equivalenza è lo strumento matematico che permette l’equiparazione di famiglie che hanno una composizione diversa e di tener conto delle loro diverse esigenze. Il Reddito di cittadinanza (si veda il decreto legge n. 4 del 28 gennaio 2019) introduce una nuova scala di equivalenza, il cui parametro è pari a 1 per il primo componente del nucleo familiare, incrementato di 0,4 per ogni ulteriore componente maggiorenne e di 0,2 per ogni ulteriore componente minorenne, fino a un massimo di 2,1, ovvero fino a un massimo di 2,2 nel caso in cui nel nucleo familiare siano presenti componenti in condizione di disabilità grave o di non autosufficienza, come definite ai fini dell’ISEE. In questo modo si introduce un tetto al numero di componenti del nucleo considerati. Il parametro che ne deriva penalizza le famiglie numerose sia nell’accesso alla misura (nello specifico, si rimanda all’articolo 2, comma 1, b), 4 del decreto legge summenzionato), sia nel calcolo del beneficio economico (articolo 3, comma 1, a).

26

Cittadini di paesi terzi in possesso del permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo; residenti in Italia, in via continuativa, da almeno due anni al momento della presentazione della domanda.

27

Come riportato dai dati dell’Osservatorio Inps (Inps 2019).

28

La stima della povertà assoluta per i cittadini extracomunitari è stata ottenuta applicando al numero di famiglie di cittadini extra-Ue in Italia, ottenuto su IT-SILC, la percentuale del 29,2% che corrisponde alla quota di poveri tra i cittadini stranieri in Italia secondo Istat. Considerando che, da una nostra stima su dati IT-SILC, il 33,15% degli stranieri UE e il 37,61% degli stranieri extra-UE sono sotto la soglia della povertà relativa al 60% della mediana e che il 15,42% degli stranieri UE e il 18,86% degli stranieri extra-UE sono sotto la soglia della povertà relativa al 40% della mediana, abbiamo ritenuto plausibile che la quota della povertà fosse simile o superiore per i cittadini extra-UE rispetto a quelli comunitari.

29

Stime effettuate dagli Autori.

30

“L’incidenza della povertà assoluta è calcolata sulla base di una soglia corrispondente alla spesa mensile minima necessaria per acquisire un paniere di beni e servizi che, nel contesto italiano e per una famiglia con determinate caratteristiche, è considerato essenziale a uno standard di vita minimamente accettabile. Sono classificate come assolutamente povere le famiglie con una spesa mensile pari o inferiore al valore della soglia (che si differenzia per dimensione e composizione, per età della famiglia, per ripartizione geografica e per tipo di comune di residenza)” (Istat 2018).

31

Questi dati sono messi a disposizione dal sito dell’Istat: https://www.istat.it/it/archivio/225648.

32

Si veda il Programma operativo nazionale Inclusione 2014-2020 e l’avviso pubblico n. 3/2016 per maggiori informazioni.

33

Decreto interministeriale del 18 maggio 2018, Criteri di riparto del Fondo per la lotta alla povertà e all’esclusione sociale e l’adozione del Piano per gli interventi e i servizi sociali di contrasto alla povertà, ai sensi, rispettivamente, dell’articolo 7, comma 4 e dell’articolo 21, comma 6, lettera b), del decreto legislativo 15 settembre 2017, n. 147.

34

La Lombardia avrebbe perso circa 3,5 milioni mentre la Sicilia avrebbe guadagnato circa 4,9 milioni di euro.

35

Si veda la definizione del criterio ii) sopra.

36

La bassa correlazione citata ha molto a che fare con il metodo usato per stimare l’intensità della povertà che considera la popolazione sotto una soglia nazionale in riferimento alla popolazione residente nelle regioni. In un certo modo, questo indicatore veicola un’informazione simile a quella presentata nel terzo paragrafo della sezione 3. Infatti, se si considera la correlazione tra povertà assoluta in riferimento alla popolazione regionale (invece di nazionale) e intensità della povertà, il coefficiente è di 0,64.

37

Circa il 71,4% delle risorse va alle cinque Regioni meno sviluppate, il 5,2% alle tre Regioni in transizione e il 23,3% alle undici Regioni più sviluppate. Si veda l’avviso pubblico n. 3/2016 per maggiori informazioni.