1. Introduzione
Con la conversione in legge del decreto legge 28 gennaio 2019, n. 4, è stato sancito in modo ufficiale il passaggio dal Reddito di inclusione (Rei) al Reddito di cittadinanza (Rdc) e alla Pensione di cittadinanza (Pdc), i quali vanno a definire congiuntamente la nuova misura di reddito minimo nazionale a partire dal 1° aprile 2019[1].
Sono già diverse le analisi che forniscono stime sulla platea dei potenziali beneficiari del Rdc e sulle loro caratteristiche. Basandosi su simulazioni realizzate con dati campionari EU-SILC (European Union Statistics on Income and Living Conditions) per l’anno 2016, Gallo e Sacchi (2019) riportano, ad esempio, una platea stimata di potenziali beneficiari del Rdc pari a poco più di 4 milioni di individui. Altre riflessioni sono state proposte in merito ai possibili effetti della nuova misura nazionale su povertà (De Nicola 2019; OCSE 2019), licenziamenti (Albanese e Picchio 2019) e livelli salariali (Garnero e Salvatori 2019). A queste si aggiungono le audizioni di numerosi istituti di ricerca e associazioni svolte presso il Senato e la Camera, riassunte per una parte con fine comparatistico da Baldini e Lusignoli (2019). Poco è stato detto invece in merito al Patto per il lavoro connesso al Rdc e alle aspettative, empiricamente fondate, che i suoi beneficiari si attivino dal punto di vista occupazionale, soprattutto in relazione alla mobilità geografica, per accettare l’offerta di lavoro ‘congrua’ che verrà loro proposta. Il Rdc è, infatti, una misura concepita essenzialmente con due scopi: contrasto della povertà e reinserimento lavorativo. Mentre il primo è entrato ampiamente nel dibattito di policy attuale, il secondo rimane ancora sottotraccia, probabilmente perché rappresenta il vero elemento di novità rispetto al precedente Rei ed è pertanto inedito in diversi aspetti per questo tipo di politica. Sebbene il Rei si proponesse già l’attivazione lavorativa dei suoi beneficiari, questo obiettivo era invero da considerarsi come secondario rispetto al più importante ‘investimento sociale’ di natura monetaria a favore delle famiglie in povertà. Non a caso, l’attenzione riposta sulla condizionalità del progetto di attivazione, e sulle relative sanzioni in caso di inadempienza dei beneficiari, era nel Rei largamente inferiore se confrontata con quanto si rileva invece per il Rdc.
Con l’intenzione di avviare un dibattito di policy anche sulla funzione del Rdc di avviamento al lavoro, questo studio esamina la disponibilità al lavoro e al trasferimento per lavoro dei potenziali beneficiari del Rdc e del Patto per il lavoro ad esso collegato, sulla base dei dati ricavati dall’indagine campionaria Inapp PLUS 2018. L’analisi offre anche un dettaglio sulle principali tipologie di individui che potranno essere coinvolte nel Patto per il lavoro, esaminandone in particolare le differenze territoriali in termini di propensione al trasferimento per motivi lavorativi.
Questo articolo è così organizzato: la sezione 2 propone un inquadramento teorico e normativo del Rdc, contestualizzandolo all’interno della letteratura internazionale di riferimento. Nella sezione 3 si descrive come è stata ottenuta la platea dei possibili beneficiari, per i quali si stima, nella sezione 4, la disponibilità immediata al lavoro e al trasferimento. La sezione 5 trae le conclusioni offrendo indicazioni di policy.
2. Inquadramento teorico e normativo del Reddito di cittadinanza
Il Rdc è definito per legge come una “misura fondamentale di politica attiva del lavoro a garanzia del diritto al lavoro, di contrasto alla povertà, alla disuguaglianza e all’esclusione sociale, nonché diretta a favorire il diritto all’informazione, all’istruzione, alla formazione e alla cultura attraverso politiche volte al sostegno economico e all’inserimento sociale dei soggetti a rischio di emarginazione nella società e nel mondo del lavoro. Il Rdc costituisce livello essenziale delle prestazioni nei limiti delle risorse disponibili” (art. 1 del decreto-legge 28 gennaio 2019). Per come è stato concepito e approvato, il Rdc è una misura di reddito minimo garantito, non categoriale perché si rivolge a tutte le famiglie il cui reddito è situato al di sotto di una soglia prestabilita, selettiva perché basata sulla prova dei mezzi familiari e attiva perché prevede un percorso personalizzato di accompagnamento mirato al reinserimento lavorativo e sociale dei beneficiari. Per concezione e struttura ricorda molto il reddito minimo di inserimento, la cui sperimentazione era iniziata già 20 anni fa (nel 1999) e al quale il nostro Paese non ha dato seguito. Il Rdc è, perciò, ascrivibile all’approccio teorico delle politiche sociali fondato su una gamma di interventi mirati e integrati, piuttosto che essere fondato sul reddito di cittadinanza in senso stretto: quest’ultimo infatti è da intendere come un trasferimento monetario universale di ammontare prefissato, non soggetto a imposte ed erogato in egual misura a tutti i cittadini, indipendentemente dalle caratteristiche individuali e soprattutto dalle loro condizioni economiche (Atkinson 1995, 1998; Baldini et al. 2018; Granaglia e Bolzoni 2016; Toso 2016; Van Parijs 1995, 2001; Van Parijs et al. 2000; Van Parijs e Vanderborght 2013, 2017)[2].
L’articolo 4 della legge sul Rdc stabilisce che l’erogazione del beneficio è condizionata alla dichiarazione di immediata disponibilità al lavoro da parte dei componenti del nucleo familiare maggiorenni, ovvero all’adesione a un percorso personalizzato di attivazione socio-lavorativa. Oltre ai beneficiari della Pensione di cittadinanza, sono esclusi da tali obblighi i componenti dei nuclei beneficiari del Rdc che sono pensionati o di età almeno pari a 65 anni, nonché i componenti con disabilità (salvo loro espressa volontà di adesione a un percorso personalizzato). L’articolo 4 prevede che possano essere altresì esonerati dalla condizionalità i componenti: con carichi di cura (minore di tre anni o componente con disabilità grave o non autosufficienza a carico); lavoratori a basso reddito (reddito da lavoro inferiore a 8.000 euro per i dipendenti e a 4.800 euro per gli autonomi); frequentanti un corso di formazione o di studio. Il comma 5 dello stesso articolo, tra i componenti dei nuclei familiari beneficiari tenuti agli obblighi, individua inoltre alcune categorie – di particolare interesse ai fini dell’attivazione lavorativa – che devono essere convocate dai centri per l’impiego (Cpi) entro 30 giorni dal riconoscimento del beneficio, ai fini della stipula del Patto per il lavoro, quali: i) coloro che sono disoccupati da meno di due anni; ii) i beneficiari NASpI o di altro ammortizzatore sociale ovvero chi ne è stato fruitore da non più di un anno; iii) coloro che hanno sottoscritto negli ultimi due anni un patto di servizio attivo presso i Cpi; iv) coloro che non hanno sottoscritto un progetto personalizzato Rei; v) i giovani con età non superiore ai 29 anni.
Tutti coloro che non ricadono nelle categorie appena elencate sono invece soggetti alla convocazione presso i Servizi sociali dei Comuni competenti per il contrasto alla povertà, per la stipula del Patto per l’inclusione sociale.
Il Patto per il lavoro prevede, nello specifico, la necessità di accettare almeno una di tre offerte di lavoro definite ‘congrue’, a pena di decadenza dal beneficio. La congruità dell’offerta di lavoro viene definita sostanzialmente sulla base di tre principi: i) coerenza tra l’offerta di lavoro e le esperienze e competenze possedute; ii) distanza del luogo di lavoro dal domicilio e tempi di trasferimento mediante mezzi di trasporto pubblico; iii) durata dello stato di disoccupazione. Nello specifico l’articolo 4, comma 9, della legge sul Rdc definisce congrua un’offerta che riporta le caratteristiche seguenti: a) nei primi dodici mesi di fruizione del beneficio, un’offerta entro 100 km di distanza dalla residenza del beneficiario o comunque raggiungibile (nel limite temporale massimo di cento minuti) con i mezzi di trasporto pubblici, se si tratta di prima offerta, ovvero entro 250 km di distanza se si tratta di seconda offerta, ovvero ovunque collocata nel territorio italiano se si tratta di terza offerta; b) decorsi dodici mesi di fruizione del beneficio, un’offerta entro 250 km di distanza dalla residenza del beneficiario nel caso si tratti di prima o seconda offerta, ovvero, ovunque collocata nel territorio italiano se si tratta di terza offerta; c) in caso di rinnovo del beneficio, un’offerta ovunque sia collocata nel territorio italiano anche nel caso si tratti di prima offerta. Oltre a dichiararsi immediatamente disponibili al lavoro, i beneficiari sottoposti al Patto per il lavoro sono tenuti a registrarsi su un’apposita piattaforma digitale e svolgere ricerca attiva del lavoro. Con riferimento al Patto per l’inclusione sociale, invece, non si sa ancora molto nello specifico e si attendono per questo (e anche per altri dettagli del Patto per il lavoro) i decreti attuativi del Ministero del Lavoro e delle politiche sociali[3].
Risulta particolarmente importante, perciò, valutare la disponibilità al lavoro e al trasferimento per lavoro della platea di possibili beneficiari del Rdc, in generale, e del Patto per il lavoro, in particolare. A tal proposito, questo studio si avvale dei dati dell’indagine PLUS 2018 dell’Inapp, ultimata di recente, la quale conta su un campione di circa 45.000 individui in età lavorativa (18-74 anni) residenti in Italia nel 2018. Questa indagine ha il pregio di rilevare, tra coloro che si dichiarano in cerca di occupazione o inattivi diversi da pensionati e studenti, sia la disponibilità immediata al lavoro sia la disponibilità al trasferimento per lavoro. La disponibilità al trasferimento per ragioni lavorative viene declinata in stadi crescenti di disponibilità, dal trasferimento all’interno della stessa provincia a quello fuori dal territorio nazionale. In particolare, questo lavoro mira a produrre alcune evidenze su possibili criticità riguardanti l’attivazione lavorativa dei potenziali beneficiari del Rdc, e del connesso Patto per il lavoro, provando a identificare anche eventuali differenze territoriali.
3. Il campione di riferimento
L’accesso al Rdc è condizionato al rispetto di alcuni requisiti riguardanti il reddito e il patrimonio (mobiliare e immobiliare) del nucleo familiare. L’indagine PLUS 2018 non rileva informazioni dettagliate in merito, se non la fascia di reddito familiare complessivo mensile al netto di tasse e trattenute. I 45.000 individui intervistati nell’indagine si ripartiscono per fascia di reddito come illustrato in figura 1. Il 10,5% di questi dichiara di vivere in una famiglia con un reddito familiare netto complessivamente inferiore a 1.000 euro al mese, la fascia di reddito più rappresentata è quella dell’intervallo 2.001-3.000 euro (20%), e soltanto il 3% degli individui ha un reddito familiare mensile superiore a 5.000 euro[4]. In mancanza di alternative migliori e considerate le soglie reddituali di accesso alla misura di contrasto alla povertà, si assume che la platea potenziale del Rdc coincida con coloro che hanno dichiarato un reddito familiare netto inferiore a 1.000 euro al mese (circa 4,6 milioni di individui in età lavorativa). Tale decisione potrebbe escludere dalla platea alcuni nuclei particolarmente numerosi che, pur soddisfacendo i requisiti reddituali di accesso, rientrano nella seconda e addirittura nella terza classe di reddito familiare mensile rappresentate nella figura 1. Tuttavia, in assenza di ulteriori informazioni o variabili di supporto, è lecito supporre che il numero degli individui erroneamente esclusi sia (almeno) compensato dal numero di coloro che, pur avendo un reddito familiare inferiore a 1.000 euro al mese, non dovrebbe aver diritto al Rdc (i cosiddetti ‘falsi positivi’).
Una platea di beneficiari così definita risulta però chiaramente più grande rispetto alle stime sul Rdc presentate nelle varie audizioni al Senato e alla Camera, secondo cui le famiglie coinvolte dovrebbero essere 1,2-1,7 milioni e gli individui 2,5-4 milioni (Baldini e Lusignoli 2019). Sebbene il presente studio non abbia lo scopo né l’ambizione di stimare in modo puntuale il numero degli aventi diritto al Rdc, al fine di adeguare il più possibile l’ordine di grandezza delle persone interessate dal Rdc a quello atteso in realtà, si è pertanto deciso di raffinare la platea potenziale delle politiche di attivazione previste dalla misura escludendo dall’analisi:
- i pensionati e gli over 65, considerato che il focus di questo studio è sull’attivazione lavorativa e che dovrebbero rappresentare una quota molto ridotta dei beneficiari;
- i lavoratori che hanno dichiarato un reddito netto da lavoro almeno pari a 1.000 euro al mese e che, dunque, hanno invero un reddito familiare netto non inferiore ai 1.000 euro al mese;
- coloro che dichiarano di poter far fronte con risorse proprie a una spesa improvvisa superiore a 800 euro, elemento che nella metodologia Eurostat di definizione della povertà indica in qualche modo un’assenza di deprivazione materiale.
Queste correzioni conducono infine a una platea di beneficiari potenziali e di interesse per questa analisi, stimata su PLUS 2018, di circa 2,75 milioni di individui[5].
Sulla base della delineata platea di individui possibili beneficiari del Rdc, la tabella 1 riporta la distinzione tra coloro che sono esclusi dagli obblighi della condizionalità (circa 1,1 milioni) e coloro che, invece, ne sono soggetti (circa 1,7 milioni). Per gli individui esclusi dagli obblighi si fornisce anche l’ulteriore evidenza della causa di esclusione, da cui risulta che la figura più frequente tra gli esclusi è quella dei lavoratori a basso reddito (530.000)[6].
Il 61,2% dei potenziali beneficiari dovrebbe dunque, nella fase di implementazione del Rdc, essere obbligato a sottoscrivere un piano di attivazione socio-lavorativa e, a seguito di questo, essere suddiviso in due percorsi distinti: il Patto per il lavoro, presso i Cpi; e il Patto per l’inclusione sociale, presso i Servizi sociali comunali. Le nostre stime mostrano che il 35,8% dei potenziali beneficiari con obblighi di attivazione dovrebbe essere convocato dai Cpi (ricadendo in almeno una delle cinque condizioni ricordate in precedenza ed espresse nell’articolo 4 comma 5 della legge sul Rdc), mentre il 64,2% dovrebbe essere preso in carico dai Servizi sociali. Sebbene l’ampiezza della platea potenziale dei beneficiari del Rdc sia diversa (e comunque difficilmente confrontabile), la ripartizione dei nuclei aventi diritto per esclusione dalla condizionalità e soprattutto per tipologia di presa in carico che emerge dalle stime di questo studio è simile a quanto riportato dall’Ufficio parlamentare di bilancio (2019) e Baldini et al. (2019).
Sempre da elaborazioni degli Autori sui dati dell’indagine Inapp PLUS 2018 si rileva, inoltre, che il 77% degli individui che dovrebbero seguire il Patto per il lavoro è costituito da disoccupati da meno di due anni, poco più di uno su quattro è beneficiario NASpI o di altro ammortizzatore sociale (o lo è stato nell’ultimo anno), e il 37% ha un’età compresa tra i 18 e i 29 anni[7]. Il numero di osservazioni campionarie per ciascuna categoria della popolazione di individui analizzata nel presente studio è riportato in Appendice (tabella A.1)[8].
4. Disponibilità immediata al lavoro e al trasferimento
L’indagine Inapp PLUS 2018 offre la possibilità di verificare la disponibilità immediata al lavoro. Il testo della specifica domanda che viene rivolta agli intervistati e le possibili risposte sono di seguito riportati:
Lei sarebbe immediatamente (entro due settimane) disponibile a lavorare?
- Sì, per qualunque tipo di lavoro; - Sì, ma solo per un impiego soddisfacente; - No.
La valutazione di “soddisfacimento dell’impiego proposto” è lasciata alla soggettività dell’intervistato: l’intervistatore ha la facoltà di indicare all’intervistato la congruità del salario e la coerenza con le proprie capacità e competenze come possibili esempi sulla base dei quali motivare la propria soddisfazione.
La tabella 2 riporta i risultati per il totale del campione Inapp PLUS 2018, per la platea di possibili beneficiari coinvolti nei due Patti e per le sottocategorie confluenti nel Patto per il Lavoro. Nel complesso degli individui in cerca di occupazione e inattivi diversi da pensionati e studenti, censiti dall’indagine, il 43,8% non si dichiara immediatamente disponibile a lavorare. Le quote di indisponibilità tra i beneficiari del Rdc sono più basse – come è lecito attendere poiché si tratta di individui meno abbienti – ma rimangono significative. Tra coloro che dovrebbero essere coinvolti nel Patto per l’inclusione sociale più di un terzo (37%) dichiara indisponibilità immediata e un quarto si dichiara disponibile ma solo per un impiego soddisfacente; soltanto 414.000 individui circa (38% del totale) si dichiara disponibile per qualunque lavoro entro due settimane. Nel gruppo degli individui potenzialmente coinvolti nel Patto per il lavoro le percentuali appaiono più incoraggianti, ma comunque non trascurabili: il 14% (circa 83.000 individui) non si dichiara disponibile nell’immediato, un terzo riporta disponibilità solo per un lavoro soddisfacente, mentre poco più della metà (55%) è immediatamente disponibile per ogni tipo di lavoro. Tra le tipologie di individui previste per il Patto per il lavoro le percentuali risultano piuttosto similari, benché alcune peculiarità emergano. In primo luogo, i giovani offrono la maggiore disponibilità immediata (60%) per qualunque tipo di lavoro, riflettendo le gravi difficoltà che incontra questa categoria della popolazione nell’inserimento nel mercato del lavoro. In secondo luogo, i disoccupati da meno di due anni sono quelli che riportano la quota più elevata di risposte negative (12,6%), prospettandosi quindi come la tipologia di individui sulla cui immediata disponibilità è più difficile contare.
Come ricordato in precedenza, l’indagine PLUS 2018 permette di verificare anche la disponibilità degli individui al trasferimento per motivi lavorativi. Il testo della domanda e le sue possibili risposte vengono qui di seguito riportate puntualmente:
Per accettare un lavoro, sarebbe disponibile a trasferirsi? (Se sì) fino a dove?
- Sì, solo all’interno della mia provincia di residenza attuale; - Sì, solo all’interno della mia regione di residenza attuale; - Sì, anche in un’altra regione rispetto a quella di residenza attuale, ma comunque in Italia; - Sì, anche all’estero; - No, in nessun caso.
La figura 2 riporta la distribuzione delle risposte per il totale degli individui in cerca di occupazione e inattivi diversi da pensionati e studenti all’interno del campione PLUS 2018, per i due Patti di attivazione e per le sottocategorie confluenti nel Patto per il lavoro. Nel complesso, degli individui inoccupati nel campione Inapp PLUS, il 64,3% non si dichiara disponibile al trasferimento. In relazione al Patto per l’inclusione, quasi la metà degli individui (circa 508.000 unità) fornisce una risposta negativa al trasferimento; meno frequente rispetto al totale degli inoccupati – probabilmente per via delle peggiori condizioni economiche familiari – ma comunque di più rispetto ai soggetti potenzialmente interessati dal Patto per il lavoro. Il 52,9% degli individui potenzialmente coinvolti nel Patto per l’inclusione che si dichiara disponibile al trasferimento si ripartisce come segue: il 28,3% si trasferirebbe, ma all’interno della provincia di residenza; il 6,4% rimarrebbe all’interno della regione di residenza; l’8,8% si trasferirebbe anche in un’altra regione italiana; e il 9,3% anche all’estero.
Il dato probabilmente più preoccupante riguarda la quota di coloro che non si trasferirebbero in alcun caso, tra gli individui potenzialmente coinvolti nel Patto per il lavoro: quasi un terzo (circa 189.000 individui), la quota più alta tra le possibili risposte al quesito. Solamente il 23% si dichiara disponibile al trasferimento ma all’interno della provincia e una quota ancora più bassa (12%) dichiara disponibilità solo all’interno della regione. Il 13% si dichiara disponibile al trasferimento su tutto il territorio nazionale e un quinto dichiara si trasferirebbe perfino all’estero pur di lavorare. Passando, poi, alle categorie interne al Patto per il lavoro, le percentuali degli individui che non si trasferirebbero in alcun caso risultano più alte – e quindi più problematiche in termini di policy di attivazione lavorativa – tra i beneficiari NASpI (39%) e tra i disoccupati da meno di due anni (33%). Tra i giovani in età 18-29, solo un quinto non si rende disponibile al trasferimento. Gli individui disposti al trasferimento in tutto il territorio nazionale (ed eventualmente anche all’estero) sono pari solamente al 31% tra i disoccupati da meno di due anni, al 27% tra i beneficiari NASpI e al 48% tra i giovani 18-29 anni. Queste stime risultano in linea con i dati riportati da Eurostat (2018) secondo cui in Italia nel 2016, il 40% dei giovani disoccupati nella fascia d’età 20-34 anni era disponibile al trasferimento, a fronte di una media dell’UE-28 del 50%. Di questi, secondo Eurostat, la metà si sarebbe spostato ma rimanendo in Italia, il 18% sarebbe andato in un altro Paese UE pur di lavorare e il 32% si sarebbe trasferito fuori dall’UE[9].
La base dati a disposizione consente anche di sviluppare l’analisi distinguendo per macroarea geografica. Secondo le stime del presente studio, i 601.000 potenziali beneficiari che dovrebbero essere coinvolti nel Patto per il lavoro si ripartiscono per il 20% nel Nord Italia (54.000 e 66.000 unità rispettivamente per Nord-Ovest e Nord-Est), per il 13% nel Centro (75.000 unità) e per il 67% nel Mezzogiorno del Paese (260.000 e 146.000 unità rispettivamente per Sud e Isole). Con esclusivo riferimento a coloro che verranno potenzialmente presi in carico dai Cpi, ovvero i più ‘impiegabili’ tra i beneficiari della nuova misura di reddito minimo, la figura 3 mostra che il tasso di disponibilità immediata più alto si riscontra nelle Isole (94%) e nel Nord-Ovest (92%), mentre decisamente più bassi risultano i valori del Centro (85%), del Sud (82%) e del Nord-Est (81%). Tra i giovani 18-29 anni da coinvolgere potenzialmente nel Patto per il lavoro, la totalità di quelli residenti nel Nord-Ovest e quasi tutti i residenti nelle Isole (99%) si dichiarano immediatamente disponibili[10]. Il tasso di disponibilità immediata più bassa risulta, in questo caso, tra i residenti nel Sud (83%).
La tabella 3 riporta la disponibilità al trasferimento divisa per componente vicino (al massimo all’interno della regione di residenza) e lontano (ovunque nel territorio nazionale e perfino all’estero) per macro-area geografica. Al fine di fornire una possibile implicazione di policy per il Rdc, si assume qui che un individuo che si dichiara disponibile a trasferirsi all’estero pur di lavorare, sia disponibile a farlo anche in tutto il territorio nazionale. In altre parole, si ipotizza qui che non ci sia una preferenza esplicita per l’estero piuttosto che per rimanere a lavorare in Italia.
Tra gli individui potenzialmente attivabili nel Patto per il lavoro, solo il 19% dei residenti nel Nord-Ovest sarebbe disponibile a trasferirsi all’interno della regione di residenza e una quota similare sarebbe disponibile ad andare ovunque in Italia e anche all’estero. I residenti nel Centro e nel Sud manifestano la maggiore disponibilità al trasferimento vicino e lontano rispettivamente. È interessante notare che i residenti nel Sud sono gli unici – se non si considera il Nord-Ovest – a risultare più propensi a lasciare la propria regione. Nel complesso le stime qui presentate riportano che tra gli individui potenzialmente attivabili nel Patto per il lavoro, la disponibilità al trasferimento maggiore è mostrata dai residenti nelle Isole (79%), mentre ben il 60% dei residenti nel Nord-Ovest non si mostra disponibile al trasferimento. Per la categoria dei giovani in età 18-29, è singolare osservare che quelli residenti nel Nord-Ovest, sebbene tutti disponibili a lavorare immediatamente (vedi figura 3), sarebbero disponibili al trasferimento solo nel 12% dei casi. Tale risultato con tutta probabilità è guidato dalla loro fiducia di riuscire a trovare lavoro vicino casa; fiducia che invece si dimostra largamente inferiore tra i coetanei residenti nel Mezzogiorno d’Italia. Le stime di questo studio rivelano infatti che i giovani meridionali, probabilmente consapevoli della difficoltà di trovare lavoro e di trovarlo nelle immediate vicinanze, mostrano la maggiore propensione al trasferimento: 90% per i giovani residenti nelle Isole, 85% per i giovani residenti al Sud. Nella maggior parte delle aree, i giovani, in caso di necessità, preferiscono un trasferimento lontano rispetto a rimanere nella stessa provincia o regione di residenza.
Andando più a fondo con l’articolazione territoriale, e consapevoli che il dettaglio regionale e addirittura provinciale potrebbe inficiare l’attendibilità delle stime[11], in considerazione dell’esiguo numero di osservazioni (si veda la tabella A.1), la tabella 4 riporta il dettaglio regionale per le cinque regioni (in ordine Campania, Sicilia, Lazio, Puglia e Lombardia) e due province (Napoli e Roma), che ad aprile 2019 riportano il più alto numero di domande di Rdc[12]. Alle due province citate si aggiunge quella di Milano in quanto seconda provincia più popolosa d’Italia, così da avere il dettaglio delle tre province italiane più popolose e poter cogliere eventuali ulteriori differenze territoriali tra Mezzogiorno e Centro-Nord Italia.
Fra le regioni, la Puglia (83%) e la Campania (84%) mostrano le minori disponibilità immediate al lavoro. In relazione alla disponibilità a trasferirsi, i residenti in Lombardia – una volta ancora probabilmente per l’eventuale maggiore facilità di trovare lavoro vicino casa – evidenziano la minore propensione al trasferimento vicino (18%), a quello lontano (25%) e al trasferimento in generale (43%). Da ciò deriva che circa il 60% dei residenti in Lombardia, così come un quarto degli intervistati in Campania, Lazio e Puglia e il 15% di quelli residenti in Sicilia non sono disponibili a spostarsi per motivi lavorativi. Tra le province, solo Napoli garantisce la totale disponibilità immediata al lavoro, oltre a registrare la più alta disponibilità al trasferimento in generale (85%). Al contrario, il 15% dei milanesi non si dichiara disponibile immediatamente a lavorare. È significativo comunque che i napoletani preferiscano, in caso di necessità di trasferimento per lavoro, spostarsi fuori dalla Campania (63%) piuttosto che all’interno della propria regione (22%). Roma mostra infine la quota maggiore di individui che, in caso di trasferimento, preferirebbero rimanere all’interno della propria regione (61%), mentre rimane problematico il dato per Milano, che riporta il valore più alto di indisponibili allo spostamento (64%).
5. Discussione e conclusioni
Il Reddito di cittadinanza è stato di recente approvato in via ufficiale e le prime domande sono già state sottoposte attraverso i canali attivati. Questa misura ha il duplice compito di ridurre la povertà in Italia e favorire il reinserimento lavorativo degli individui che, al momento, ne sono esclusi. Il dibattito di policy volto alla valutazione evidence-based della misura si è concentrato finora sulla prima funzione, esaminando essenzialmente la possibile dimensione della platea di beneficiari sulla base di studi micro-fondati, ovvero sul targeting dei poveri e i potenziali effetti sui livelli di povertà e disuguaglianza del reddito in Italia.
Questo lavoro, invece, prende in esame il secondo compito della misura, non meno rilevante del primo e ancora assente nel dibattito pubblico: una volta selezionati i beneficiari, questi devono essere coinvolti in un processo di avviamento al lavoro, proponendo loro una serie di offerte di lavoro ‘congrue’ sulla base delle competenze richieste, del salario e soprattutto della distanza dal luogo di residenza. Tutto questo percorso presuppone, perciò, la disponibilità immediata al lavoro e soprattutto al trasferimento degli individui.
Usando i dati della rilevazione Inapp PLUS per il 2018, questo studio mostra che, tra i potenziali beneficiari del Rdc che dovrebbero essere inseriti nel Patto per il lavoro tale disponibilità è tutt’altro che scontata. Il 14% (circa 83.000 individui) dichiara indisponibilità nell’immediato e circa un terzo riporta disponibilità, ma solo per un lavoro soddisfacente. Le problematiche maggiori sorgono, a parere di chi scrive, nel caso in cui l’offerta di lavoro ‘congrua’ richieda il trasferimento dell’individuo. Infatti, un terzo di coloro che dovrebbero essere indirizzati al Patto per il lavoro (circa 189.000 individui) dichiara che non si trasferirebbe in nessun caso, un altro terzo sarebbe disponibile ma a un trasferimento vicino (all’interno della regione di residenza) e soltanto il restante terzo accetterebbe un trasferimento lontano (ovunque nel territorio nazionale) per motivi lavorativi. Passando, poi, alle categorie interne al Patto per il lavoro, le quote degli individui che non si trasferirebbero in alcun caso risultano addirittura più alte tra i disoccupati da meno di due anni e tra i beneficiari NASpI.
La scomposizione territoriale mostra che i meridionali hanno tendenzialmente una maggiore disponibilità al trasferimento rispetto agli individui residenti nel Centro-Nord Italia, così come i giovani tra i 18 e i 29 anni lo sono di più rispetto agli over 30. Tra le macroaree, è il Nord-Ovest quella a riportare complessivamente la minore propensione al trasferimento per lavoro, se si considera che il 60% dei residenti non si sposterebbe in alcun caso. Tra le regioni, circa un quarto dei residenti in Campania, la regione che fa registrare il numero di domande più alto del Rdc ad aprile 2019, non si sposterebbe in alcun caso. Percentuali simili si rilevano per Lazio, Puglia e Sicilia (rispettivamente 27%, 24% e 14% circa), mentre questo valore arriva addirittura al 57% tra i residenti in Lombardia.
In questo lavoro è stata richiamata l’attenzione sul fatto che ai fini della valutazione dell’efficacia del Rdc occorra considerare non solo le problematiche inerenti alla componente passiva della misura – come detto già richiamate ed esaminate nel dibattito corrente – ma anche quelle legate alla componente attiva. Il Rdc, infatti, per come è concepito, è finalizzato all’inserimento lavorativo degli individui più svantaggiati e quindi alla conduzione delle famiglie fuori dalla propria situazione di dipendenza dalla misura. E proprio in relazione alla componente attiva del Rdc, il lavoro dimostra che i soggetti attuatori della misura, l’Anpal, i Cpi, ma anche i 3.000 navigator – assunti di recente con il compito di seguire i beneficiari del Rdc nella ricerca di una nuova occupazione e di controllare che tutte le attività proposte siano svolte nei modi e nei tempi stabiliti – si troveranno di fronte a una duplice problematica. Da un lato è necessario ridurre la distanza tra domanda e offerta di lavoro, facilitare l’incontro tra i lavoratori e le imprese e minimizzare l’impatto del mismatch lavorativo, frizionale e strutturale che da sempre caratterizza il nostro Paese[13]. Dall’altro, non si può non tenere conto del fatto che l’incontro tra chi offre e chi cerca lavoro, specie in un Paese dualistico come il nostro, è ostacolato dalla lontananza tra i due soggetti e richiede, il più delle volte, la disponibilità dell’individuo a trasferirsi per lavoro, anche lontano dal luogo di residenza. Proprio su questo punto questo studio, sulla base dei dati più recenti del mercato del lavoro italiano, dimostra che esiste una quota per nulla trascurabile di individui che non sono disponibili a (trasferirsi per) lavorare. Del resto, preoccupazioni in merito all’effetto disincentivante all’offerta di lavoro per misure del genere erano state già espresse in passato e in particolare da Addabbo e Baldini (1999), Berliri e Parisi (2003), Colombino (2006) per l’Italia e da Moffit (2004) per gli USA. Inoltre, in relazione al reddito minimo di inserimento è stata dimostrata una sostanziale inefficacia del programma della misura nel condurre le famiglie coinvolte fuori dalla condizione di dipendenza (Granaglia e Bolzoni 2016).
In conclusione, è auspicabile, nonché ragionevole, pensare che la disponibilità immediata al lavoro e la disponibilità al trasferimento per motivi lavorativi potranno risultare nella realtà più alte rispetto alle stime proposte in questo lavoro. Sebbene si sia parlato diffusamente di Rdc già nel corso del 2018, infatti, le interviste dell’indagine Inapp PLUS sono state svolte in un contesto di assenza della misura in esame. Inoltre, è possibile che la disponibilità degli individui aumenti ulteriormente nel momento in cui si diventa a tutti gli effetti beneficiari, ovvero quando la decisione di non trasferirsi può determinare la perdita del beneficio economico corrisposto dal Rdc. I risultati delle stime qui presentate fanno luce su ulteriori problematiche nazionali di cui ancora non si discute, ma che i decisori politici dovranno affrontare presto, quando diverranno di stretta attualità.
Appendice
Tabella A.1 Numero osservazioni campionarie per gruppo di individui in esame
Bibliografia
Addabbo T., Baldini M. (1999), Il lavoro non pagato e le politiche: un’applicazione al reddito minimo di inserimento, in A. Picchio (a cura di), Lavoro non pagato e condizioni di vita, Roma, CNEL, cap.9
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