SINAPPSI

2019/3

Le politiche di contrasto alla povertà


Lo studio analizza come il Reddito di inclusione e il Reddito di cittadinanza si prefigurano rispetto alla copertura del bisogno economico delle diverse coorti generazionali. Dopo aver mostrato la recente dinamica del fenomeno della povertà in Italia, l’articolo presenta alcune micro-simulazioni sulla platea di potenziali beneficiari e sulla spesa prevista per le due misure di contrasto alla povertà in esame. I risultati evidenziano che, in termini comparativi e al netto della generalizzata espansione della platea dei beneficiari prodotta dal Reddito di cittadinanza, quest’ultimo tende a favorire la popolazione anziana molto più della precedente misura nazionale e che questo disequilibrio generazionale verrebbe solo parzialmente risolto da una modifica della scala di equivalenza.

The paper analyzes how and to what extent the Inclusion Income and the Citizenship Income schemes cover the economic needs reported by different cohorts of the Italian population. After a glance at recent poverty trends in Italy, this study outlines, through microsimulations analysis, the possible effect of the schemes on potential beneficiaries and the expected burden on the public budget. Despite the audience expansion that Citizenship Income scheme generated across all cohorts, estimation results highlight that, in relative terms, the Citizenship Income scheme tends to favor the older population more than the previous national scheme and that the following intergenerational divide would be only partially solved by a change in the adopted equivalence scale. 

1. Introduzione

“Economists are now coming to realize that one of the stiffest headwinds [explaining recent disappointing economic growth in the U.S. and abroad] is also one of the hardest to overcome: demographics”. In questi termini il Wall Street Journal (Ip 2015) inquadra l’ampio dibattitto relativo ai mutamenti sociali ed economici che stanno interessando le popolazioni delle nazioni più sviluppate. I mutamenti demografici, e quindi i cambiamenti delle caratteristiche delle coorti generazionali, rivestono un ruolo centrale nella comprensione delle condizioni socio-economiche delle stesse popolazioni. È partendo da tale assunto che in questo lavoro intendiamo analizzare come le due più recenti misure nazionali di contrasto alla povertà, Reddito di inclusione (Rei) e Reddito di cittadinanza (Rdc), si prefigurano rispetto alla copertura del bisogno di supporto al reddito delle diverse coorti generazionali.

La questione demografica per il nostro Paese assume caratteristiche significative. L’Italia risulta essere tra i Paesi più anziani al mondo preceduta solamente dal Giappone (OCSE 2017). Nel 2018, la popolazione anziana (over 65) rappresenta il 22,5% della popolazione totale, contro una media europea (Eu28) pari al 19,7%, mentre la sola popolazione degli ultra-anziani (over 80) costituisce il 6,9% del totale, valore più elevato di quello europeo, che si attesta al 5,6%[1]. A completamento del quadro occorre anche includere un ulteriore elemento connesso al progressivo invecchiamento della popolazione nazionale, ossia il mutamento delle caratteristiche delle coorti generazionali. La graduale scomparsa degli individui nati a cavallo delle due guerre mondiali e l’ingresso in età anziana della generazione definita dei Baby boomers (ossia i nati tra il 1946 e il 1964), hanno fatto registrare un passaggio epocale per quanto riguarda la distribuzione generazionale della ricchezza della popolazione italiana. Al contempo, si sta assistendo a un progressivo peggioramento delle condizioni socio-economiche delle generazioni più giovani, fenomeno che abbraccia una pluralità di cause ed esiti, ma che risulta essere di centrale importanza in Italia (Istituto Giusepppe Toniolo, vari anni), ma non solo (Adamy e Overberg 2019).

A contraltare dell’inerzia che ha caratterizzato le politiche di contrasto alla povertà negli ultimi decenni (Ferrera et al. 2012; Madama et al. 2018; Natili 2019), recentemente si è assistito a una intensa fase di attività legislativa su questo fronte. Prima del 2016 l’Italia era sprovvista di una misura nazionale di reddito minimo continuativa. Oltre alle misure regionali e locali nate nell’ultimo decennio e sviluppatesi seguendo direttrici differenti, è con l’introduzione del Sostegno per l’inclusione attiva, nel settembre del 2016, che si definisce un quadro nazionale unico di azione, benché non ancora strutturale, ma sperimentale e ‘temporizzato’. Questa misura, se da un lato ha avuto il pregio di armonizzare le varie misure subnazionali, dall’altro ha presentato alcuni limiti, in particolare la sua natura non universalistica, criteri di eleggibilità troppo stringenti, e importi esigui e a somma fissa (Saraceno 2016). Queste criticità sono state superate con l’introduzione, il 1° gennaio 2018, del Reddito di inclusione, il quale rappresenta la prima misura strutturale di reddito minimo in Italia e si caratterizza per essere un trasferimento monetario vincolato alla prova dei mezzi e condizionato all’attivazione lavorativa o sociale dei membri familiari ritenuti idonei. Inoltre, dal luglio 2018, con la cessazione dei vincoli categoriali, il Rei si allinea alle principali esperienze europee, diventando di fatto una misura di reddito minimo a universalismo selettivo[2] (Raitano et al. 2018). Anche l’attuale Reddito di cittadinanza, entrato in vigore il 1° aprile 2019, a discapito del nome, può essere circoscritto tra le politiche di reddito minimo condizionali al soddisfacimento di determinati criteri reddituali e non. L’elemento chiave del passaggio Rei-Rdc è identificabile nel significativo aumento di risorse messe in campo dal governo, le quali (considerando anche le risorse dedicate alla Pensione di cittadinanza (Pdc)) quasi triplicano il precedente stanziamento previsto per il Rei, superando, secondo il D.L. 28 gennaio 2019, n. 4, e la legge di bilancio per il 2019, i 6 miliardi di euro nel 2019 e gli 8 miliardi nel 2021. Tale aumento si riflette in un’espansione ulteriore della potenziale platea dei beneficiari tramite un innalzamento dei criteri reddituali di accesso previsti nel Rei, e in un significativo aumento degli importi massimi individuati dalla misura, agevolati dall’introduzione di una componente dell’importo prevista per compensare le spese di affitto dei beneficiari. Inoltre, questa misura si differenzia in Reddito o Pensione di cittadinanza in base all’età dei componenti del nucleo familiare (over 67 nel secondo caso), ma per comodità in questa sede, ove non specificato, considereremo entrambi con il nome di Rdc.

Alla luce di questa dinamica a coperture crescenti che ha interessato le recenti politiche italiane di contrasto alla povertà, in questo articolo, limitando l’attenzione alle ultime due misure (Rei e Rdc), intendiamo leggere tale sviluppo in ottica generazionale. In particolare, la domanda di ricerca principale cui la nostra analisi risponde è: quale tra questi disegni di policy, in termini di requisiti di accesso e scala di equivalenza adottata, è maggiormente in linea coi recenti mutamenti dei profili generazionali della povertà in Italia? Tale esercizio ha valenza esclusivamente se posto in termini di comparazione relativa, in quanto, in termini assoluti, le risorse stanziate per il Rdc garantiscono, rispetto al Rei, significativa espansione della spesa sociale in favore di tutte le categorie della popolazione. In quest’ottica, la nostra ipotesi è che il peculiare disegno del Rdc sfavorisce, in termini relativi rispetto al Rei, l’accesso al sostegno pubblico e riduce il beneficio economico per le categorie più esposte al rischio di povertà, ossia i minori e i giovani adulti.

Il prossimo paragrafo analizzerà in termini comparativi le caratteristiche delle due politiche di reddito minimo di nostro interesse. Il successivo si concentra sulla recente dinamica del fenomeno della povertà in Italia evidenziandone le differenze generazionali. Il paragrafo 4 completa questa analisi soffermandosi sulla distribuzione dei trasferimenti sociali, differenziando per classi di età e per esposizione al grave rischio di povertà. Il paragrafo 5 descrive i dati e la metodologia utilizzati per la (micro-)simulazione della platea potenziale, mentre il paragrafo 6 presenta i risultati delle stime sulle principali caratteristiche dei potenziali beneficiari delle misure, nonché una discussione sulle variazioni attese da un eventuale cambio di scala di equivalenza nel Rdc. Infine, il paragrafo 7 conclude il lavoro offrendo alcune indicazioni di policy.

2. Rei e Rdc a confronto

Recentemente la comparazione tra Rei e Rdc (tabella 1) ha richiamato una forte attenzione in ambito accademico e non solo. In questa sede non proponiamo una puntuale analisi dei due modelli sottostanti le misure, ma limitiamo l’attenzione a quegli elementi che influiscono sulla definizione della potenziale platea dei beneficiari e degli importi delle prestazioni, e rimandiamo il lettore alla già ampia letteratura comparativa per ulteriori approfondimenti (Saraceno 2018; Baldini 2019; Baldini et al. 2019; Gori 2019a; Gori 2019b; Lusignoli 2019; Valente 2019). Nello specifico, la tabella 1 presenta sinteticamente le caratteristiche relative ai requisiti di accesso (patrimoniali, reddituali e di soggiorno) e alle scale di equivalenza adottate per il calcolo degli importi. Ai nostri fini appare utile notare che se da un lato questo passaggio ha portato a un significativo innalzamento dei criteri reddituali e patrimoniali, dall’altro si assiste a un ristringimento nell’accesso della popolazione straniera e all’utilizzo di una scala di equivalenza più ‘piatta’ rispetto a quella adottata nel Rei e limitata dalla presenza di un ‘tetto’ massimo assente in precedenza.

 

Tabella 1 Rei e Rdc a confronto

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Fonte: D.Lgs. 15 settembre 2017, n. 147 e D.L. 28 gennaio 2019, n. 4

Guerra (2019) ha recentemente sottolineato come questi ultimi due aspetti possano penalizzare i nuclei familiari con persone di riferimento giovani, specie se con minori e numerosi, a favore della popolazione più anziana, e in particolar modo dei beneficiari over 67. La scala di equivalenza adottata nel Rdc attribuisce agli adulti un peso doppio rispetto ai minori e limita la scala a un valore inferiore a quello ottenibile da un nucleo composto da due adulti e due figli maggiorenni (non disabili). Al contrario, la scala Isee non differenzia per età del componente e non pone tetti massimi, favorendo i nuclei con minori e numerosi. Similarmente, i più stringenti requisiti di soggiorno tendono a penalizzare le famiglie di soli stranieri, le quali mediamente sono più giovani e con un maggior numero di minori rispetto alle famiglie composte da soli italiani, e che soprattutto presentano un’incidenza della povertà quasi sei volte superiore (29,2% e 5,1%) (Guerra 2019).

Un ulteriore elemento potenzialmente distorsivo del Rdc riguarda la divisione dell’importo in due componenti, una variabile in base alle caratteristiche reddituali del nucleo e modulata dalla scala di equivalenza, la seconda fissa ed esclusiva per i nuclei che risiedono in affitto, pari al valore di quest’ultimo, fino a un massimo di 280 euro (150 euro in caso di Pdc). Essendo l’importo massimo previsto, ad esempio per un single, pari a 780 euro al mese, ne consegue che la componente variabile legata al reddito familiare per i beneficiari del Rdc presenta in questo caso un tetto massimo a 500 euro, contro i superiori 630 euro nel caso di beneficiario del Pdc. Se da un lato questo aspetto ha il pregio di concentrare maggiori risorse sulla popolazione in affitto in cui vi è una maggiore incidenza di povertà, dall’altro penalizza le famiglie numerose e favorisce la popolazione over 67. Come evidenzia Guerra (2019), la scala di equivalenza implicita per una famiglia in affitto, composta da una coppia con due figli minori, è pari a 2,46 nel Rei, mentre nel Rdc risulta essere 1,51 se il nucleo è in affitto e 1,80 per nuclei con casa di proprietà. Inoltre, la maggior quota variabile dell’importo per la Pdc rispetto al Rdc (in virtù del minor valore della quota ‘affitto’) risulta in un paradossale effetto per cui, a parità di livello di povertà, una famiglia in affitto composta da una coppia di giovani riceve un beneficio inferiore rispetto a una coppia composta da over 67. Sulla base di questi elementi intendiamo approfondire come le risorse destinate a queste misure siano distribuite rispetto alle coorti generazionali.

3. La dinamica dei profili generazionali della povertà

Gli ultimi report Istat (vari anni) sulla povertà in Italia indicano come sia in atto una relazione inversa tra incidenza di povertà ed età, già emersa nel 2012 e confermata negli anni successivi[3]. Tale relazione è ben rappresentata dalla figura 1, la quale mostra, per quattro classi di età comprendenti la popolazione italiana, l’andamento del fenomeno della povertà in Italia nel decennio 2006-2016[4] sulla base di due differenti indicatori: a) l’indicatore di povertà assoluta come definito da Istat; b) una forma più ‘grave’ dell’indicatore Eurostat di rischio di povertà relativa (reddito familiare disponibile equivalente inferiore al 40% della mediana nazionale).

 

Figura 1 Incidenza della povertà per classi di età degli individui

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Note: mentre la figura 1a è derivata dai dati di fonte Istat (Indagine sui consumi delle famiglie), 1b è calcolata su dati It-Silc (release anno successivo all’anno di riferimento).

Fonte: elaborazioni degli Autori su dati Istat e Eurostat scaricati nel mese di dicembre 2019

La figura 1a evidenzia chiaramente quanto appena affermato. Nel decennio 2006-2016 l’incidenza della povertà assoluta – un indicatore di povertà non reddituale ma stimato sui consumi – della popolazione under 65 è costantemente cresciuta; al contrario si assiste a una progressiva contrazione della quota di popolazione anziana esposta a tale rischio. Tale popolazione passa infatti da un’incidenza del 4,6% nel 2006 a una incidenza del 3,8% nel 2016, riducendosi di 0,8 punti percentuali. Ciò è accaduto probabilmente a seguito dell’ingresso nella categoria dei pensionati, durante il periodo in esame, di persone con storie contributive/lavorative migliori in confronto ai precedenti. Al contrario, l’altro estremo della struttura demografica, la popolazione 0-17 anni, presenta un fattore di crescita dell’incidenza pari a circa 4,5, passando dal 2,8% al 12,5%. Una simile tendenza interessa anche la popolazione 18-34 anni, che vede l’incidenza della povertà assoluta crescere dal 2,3% del 2006 al 10% del 2016.

L’utilizzo dell’indicatore di grave rischio di povertà, anche se presenta un andamento differente in termini comparativi tra le classi di età analizzate, evidenzia in ogni caso il gap generazionale di povertà. Dal 2008 si registra uno ‘scollamento’ tra la popolazione over e under 65, la prima con andamento prevalentemente decrescente, mentre la seconda prevalentemente crescente. Nonostante l’inversione di tendenza registrata negli ultimi anni, maggiormente marcata per la popolazione under 65, il divario tra queste due macro-classi di età rimane comunque ampio. Anche in questo caso le due classi più esposte a tale rischio comprendono la popolazione under 34 e particolarmente quella minore.

Alla luce di questi dati risulta interessante comprendere come sia mutata in questo arco temporale la composizione della popolazione di individui in povertà rispetto alle classi di età (figura 2). Con riguardo sia all’indicatore di povertà assoluta, sia a quello di grave rischio di povertà relativa, la popolazione 35-64 anni rappresenta la quota principale con una tendenza di crescita nel decennio analizzato, e arrivando a pesare nel 2016 circa il 40-45% del totale della popolazione povera. La componente over 65 si caratterizza per essere, negli anni successivi al 2012, la quota minoritaria della popolazione in povertà, e presenta, soprattutto nella figura 2a, una forte riduzione dal 2006 al 2016, raggiungendo in quest’ultimo anno quote prossime al 10%. La popolazione di età inferiore ai 34 anni costituisce nel 2016 il 45%-50% della totalità della popolazione povera, presentando una tendenza, soprattutto per quanto riguarda la povertà assoluta, di costante crescita. Rispetto a quest’ultimo punto, è doveroso evidenziare il peso della popolazione di età inferiore ai 17 anni: nel 2016 più di un quarto dei poveri assoluti è un minore.

 

Figura 2 Composizione per classe d’età degli individui in povertà

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Fonte: elaborazioni degli Autori su dati Istat e Eurostat scaricati nel mese di dicembre 2019

4. Il supporto dei trasferimenti sociali

L’allarmante crescita del fenomeno della povertà registrata nell’ultimo decennio in Italia a seguito della recente crisi economica, e in generale nella maggior parte dei Paesi sviluppati, ha posto maggiore enfasi al ruolo dei trasferimenti sociali. Come strumenti primari del sistema di welfare pubblico, questi svolgono un’importante funzione di contrasto ai rischi sociali, e di supporto alle categorie più povere e fragili della popolazione, attraverso l’erogazione di un beneficio economico o di un servizio in kind.

Secondo i dati forniti da Eurostat su redditi e trasferimenti sociali (di natura monetaria) percepiti dalle famiglie italiane nell’anno 2016, ossia in ambito antecedente le misure Rei e Rdc, il 74% circa delle famiglie beneficia di almeno un trasferimento sociale (tabella 2)[5]. La categoria anziana della popolazione appare essere chiaramente la più tutelata dal sistema di welfare italiano, dato che quasi tutti gli over 65 sono beneficiari diretti o vivono in una famiglia che percepisce almeno un trasferimento sociale. Di seguito si trovano i minorenni, percettori di un qualche beneficio economico nel 72% dei casi[6], i giovani tra i 18 e i 34 anni (68%) e la classe adulta della popolazione (35-64 anni di età) con una percentuale del 65%. Escludendo le pensioni, la copertura della popolazione anziana passa dal 98% al 21%, mentre la riduzione della percentuale di beneficiari è molto più limitata nelle altre classi d’età in esame. Con riferimento a questo sottoinsieme di trasferimenti sociali, i minori risultano ora essere la categoria largamente più tutelata, con un tasso di copertura pari al 69%, a fronte di una copertura del 49% per il totale della popolazione.

 

Tabella 2 Percentuale di individui beneficiari dei trasferimenti sociali per classe d’età. Anno 2016 (val. %)

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Note: la colonna ‘Pensioni escluse’ fa riferimento al totale dei trasferimenti sociali con l’esclusione delle pensioni. La colonna ‘Solo trasferimenti means-tested’ si riferisce invece ai soli trasferimenti per accedere ai quali è prevista una prova dei mezzi e che non sono vincolati al versamento di contributi lavorativi.

Fonte: elaborazioni degli Autori su dati It-Silc 2017

Il problema principale dei trasferimenti sociali in Italia, particolarmente evidente quando vengono escluse le pensioni (che contengono anche le integrazioni al minimo e gli assegni sociali), è la loro capacità di supportare la popolazione in condizioni di povertà. La tabella 2 infatti mostra che la percentuale di beneficiari dei trasferimenti sociali è minore tra gli individui in grave rischio di povertà rispetto al totale della popolazione, e ciò è vero in relazione sia alla totalità dei trasferimenti, sia ai trasferimenti al netto delle pensioni. La scarsa pro-poorness dei trasferimenti sociali in Italia è confermata dal grafico A.1 (in Appendice), che evidenzia una percentuale alta di famiglie beneficiarie anche tra i decili di reddito più elevati. Inoltre, nonostante la quota di beneficiari dei soli trasferimenti sottoposti alla prova dei mezzi e non condizionati al versamento di contributi lavorativi registri un incremento per tutte le classi di età nel passaggio popolazione totale-popolazione in grave rischio di povertà, tale incremento risulta disomogeneo tra le classi, con la popolazione anziana a caratterizzarsi come la più tutelata, sia in termini assoluti (28,7%) che in termini di incremento (+20,1 punti percentuali).

I dati presentati in questo e nel precedente paragrafo, benché si riferiscano al 2016 (o ad anni precedenti) e quindi al contesto pre-riforme Rei e Rdc, identificano due elementi chiave utili per la ‘calibrazione’ delle politiche di contrasto alla povertà in Italia, almeno per quanto concerne la dimensione generazionale: il crescente rischio di povertà delle coorti demografiche più giovani, compensato dalla riduzione relativa e assoluta dello stesso rischio nella parte della popolazione più anziana; un sistema di trasferimenti sociali che risulta essere poco pro-poorness e che, nella sua parte specificatamente destinata al supporto degli individui in povertà, tende a tutelare maggiormente la componente anziana della popolazione. I modelli di simulazione dei prossimi paragrafi mirano a comprendere come Rei e Rdc deviino o meno dallo scenario appena delineato.

5. Il modello di micro-simulazione

L’obiettivo di questo articolo è quello di analizzare in che modo le misure nazionali di reddito minimo, Rei prima e Rdc poi, hanno intercettato il cambiamento avvenuto nell’ultimo decennio nei profili generazionali della povertà. Per far questo è innanzitutto necessario riuscire a stimare la platea dei potenziali beneficiari delle due misure in esame, nonché il beneficio economico da essi percepito.

Le stime sull’implementazione delle misure nazionali sono state realizzate attraverso un modello di micro-simulazione fiscale di natura statica (static tax-benefit microsimulation model), il quale attinge parzialmente dalla stessa metodologia proposta da Baldini et al. (2015 e 2018) e, in modo particolare, da Gallo e Sacchi (2019)[7]. Le simulazioni si basano sui micro-dati forniti dalla componente italiana dell’Indagine europea sul reddito e le condizioni di vita delle famiglie (It-Silc) per l’anno 2017. Questa indagine, infatti, contiene numerose e dettagliate informazioni su redditi, patrimoni, condizioni lavorative e socio-economiche delle famiglie italiane e dei loro componenti. Il campione di analisi contiene informazioni per 48.819 individui che vivono in 22.226 famiglie. Poiché le variabili reddituali si riferiscono al 2016 (ovvero l’anno precedente l’intervista), queste sono indicizzate al 2018 usando gli indici dei prezzi al consumo per l’intera collettività forniti da Istat. Inoltre, al fine di controllare per la possibile imperfetta rappresentatività della popolazione italiana totale da parte del campione It-Silc, tutte le stime presentate in questo studio sono prodotte tenendo conto dei pesi campionari familiari forniti da Istat.

Come è solito nella letteratura dei modelli di micro-simulazione, il modello qui adottato si basa su alcune ipotesi. Innanzitutto, il patrimonio finanziario complessivamente dichiarato dalle famiglie nel campione It-Silc è stato incrementato fino alla piena coincidenza coi totali nazionali che emergono dai conti finanziari della Banca d’Italia per il 2016[8]. Tale correzione dei valori patrimoniali è necessaria per tenere conto della nota attitudine delle famiglie intervistate, soprattutto in Italia, a non dichiarare o sotto-riportare le informazioni riguardanti la loro ricchezza finanziaria (Cannari e D’Alessio 1993; D’Alessio e Neri 2015). Anche le dichiarazioni riguardanti il valore complessivo del patrimonio immobiliare delle famiglie potrebbero soffrire dello stesso problema di under-reporting. Tuttavia, in questo caso, in assenza di informazioni o fonti dati migliori, è possibile assumere che la stessa attitudine a sotto-dichiarare il proprio patrimonio influisca tanto nei valori dichiarati nell’indagine It-Silc quanto su quelli inseriti nella domanda per il calcolo dell’Isee familiare, su cui viene poi valutato il rispetto dei requisiti di accesso alle misure nazionali di contrasto alla povertà[9]. In aggiunta, l’eventuale sotto-dichiarazione del patrimonio immobiliare da parte delle famiglie nel campione It-Silc potrebbe essere perfino compensato dal fatto che, nel dichiarare l’eventuale proprietà di immobili o terreni ai fini del calcolo Isee, occorre fare riferimento ai loro valori catastali, i quali sono generalmente più bassi e meno aggiornati di quelli effettivi. Per queste ragioni, nessuna ipotesi correttiva sui patrimoni immobiliari è adottata nel modello di micro-simulazione. Infine, un’altra importante ipotesi è fatta sul tasso di registrazione dei contratti di locazione. È probabile infatti che non tutti coloro che nel campione It-Silc dichiarano di pagare un canone mensile di locazione siano dotati di un contratto registrato formalmente presso l’Agenzia delle Entrate (passaggio necessario per la definizione del beneficio Rdc). In particolare, si ipotizza qui una registrazione dei contratti pari al 75% del totale tra i nuclei che presentano un canone mensile di locazione inferiore alla mediana per macro-area (livello regionale Nuts-1)[10].

6. I risultati delle stime

In questo paragrafo vengono presentati i risultati delle stime basate sul modello di micro-simulazione precedentemente descritto. Negli scenari di implementazione del Rei e del Rdc simulati in questo articolo, per semplicità, è sempre ipotizzato un tasso di take-up delle due misure nazionali di reddito minimo pari al 100%. Questa rappresenta una semplificazione comune nei lavori empirici sullo stesso tema, benché tale condizione sia piuttosto rara nella realtà (Domingo e Pucci 2014; Bruckmeier et al. 2017; British Department for Work and Pensions 2017). Non stupisce, quindi, che nella Relazione tecnica del D.L. 28 gennaio 2019, n. 4, ossia quello che ha introdotto il Rdc, si ipotizzi in via prudenziale un take-up a regime della nuova misura nazionale pari all’85%. Per questo motivo, come ulteriore approfondimento, si è deciso di fornire in Appendice i principali risultati di questa analisi sotto l’ipotesi di un tasso di take-up ancor più prudenziale e pari all’80% per entrambe le misure (tabelle A.4 e A.5).

Le platee di potenziali beneficiari: un confronto tra Rei e Rdc

Le successive tabelle comparano le due misure in esame in termini di potenziali platee dei beneficiari e relativa spesa differenziando rispetto alle classi di età. Entrambe le stime, come anticipato in precedenza, si basano su dati di fonte campionaria (It-Silc), nonostante siano attualmente disponibili dati di fonte amministrativa per il Rei. Questa scelta deriva dalla necessità di utilizzare una base dati univoca ai fini di garantire la comparabilità tra le stime di entrambe le misure. Inoltre, come anticipato, le stime proposte per il Rdc si riferiscono alla totalità della misura, ossia sia alla componente del Reddito di cittadinanza sia a quella della Pensione di cittadinanza.

La comparazione della composizione percentuale per classi di età della platea dei beneficiari delle due misure (prime due colonne della tabella 3), evidenzia come il Rdc presenti, rispetto al Rei, quote di beneficiari posti ai due estremi della struttura demografica più ampie, a discapito di una contrazione del peso relativo delle due classi di età centrali. La variazione è particolarmente marcata per quanto riguarda la popolazione over 65 (+6 punti percentuali) e 35-64 anni (-5,5 punti percentuali) mentre è meno intensa nelle due classi di età più giovani, dove si attesta a circa 1 punto percentuale (rispettivamente -1,3 per la classe 18-34 anni e +0,7 per la popolazione minore). Le stime proposte confermano i timori evidenziati in precedenza. In base alle nostre elaborazioni, nonostante il passaggio tra il Rei e il Rdc generi un significativo aumento della potenziale platea dei beneficiari in ogni classe di età, passando da circa 1,9 milioni a circa 4,3 milioni di individui, la comparazione in termini relativi suggerisce che i maggiori beneficiari di questa espansione risultano essere gli anziani, mentre al contrario si registra una riduzione degli adulti e in misura minore dei giovani adulti.

 

Tabella 3 Composizione assoluta e relativa per classe d’età degli individui potenzialmente beneficiari di Rei e Rdc e di quelli in condizioni di povertà

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Nota: stima dei potenziali beneficiari basata su ipotesi di un tasso di take-up delle misure pari al 100%.

Fonte: elaborazioni degli Autori su dati Istat scaricati nel mese di dicembre 2019

La terza e la quarta colonna della tabella 3 presentano la stima della composizione percentuale della popolazione in grave rischio di povertà relativa e in povertà assoluta per classe d’età. Il confronto tra queste e le analoghe stimate per la platea potenziale di beneficiari Rei e Rdc suggerisce che sono prevalentemente le generazioni più giovani ad essere sotto tutelate o sottorappresentate dalle due misure, specialmente in relazione al rischio di povertà assoluta.

Comparando la composizione della popolazione in povertà assoluta rispetto alla composizione delle platee dei potenziali beneficiari Rei e Rdc emerge che, in termini relativi e al netto dei differenti totali delle tre grandezze qui considerate, la quota di potenziali beneficiari minori e giovani adulti di entrambe le misure tende ad essere sottostimata rispetto all’incidenza della povertà assoluta per queste due classi di età. Inoltre, mentre nel primo caso si registra un lieve miglioramento nel passaggio Rei-Rdc, per la popolazione dei giovani adulti (18-34 anni) il gap rispetto all’incidenza della povertà assoluta si amplia passando da 1,8 a 3,1 punti percentuali. è bene precisare che si tratta esclusivamente di un peggioramento in termini relativi rispetto alla composizione della popolazione, in quanto, come mostra la tabella 3, il numero di beneficiari 18-34 registra un aumento passando da 420 a 870 mila unità. La tabella 3 evidenzia inoltre che la popolazione anziana si caratterizza per essere l’unica classe di età per cui il passaggio Rei-Rdc garantisce che, rispetto alla composizione della popolazione, la quota di potenziali beneficiari risulti superiore all’incidenza di entrambi gli indicatori di povertà qui utilizzati.

A completamento di questa analisi si è scelto di presentare la ripartizione delle spese pubbliche complessive stimate per le due misure rispetto alla composizione per età degli individui aventi diritto (tabella 4). Al netto delle differenze di grandezza già commentate, in questa sede interessa analizzare due aspetti: i) come la spesa sia ripartita tra le classi di età; ii) come varia l’allocazione delle risorse tra le due misure.

 

Tabella 4 Spesa pubblica complessiva prevista per Rei e Rdc per classi di età del capofamiglia

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Nota: stima dei potenziali beneficiari basata su ipotesi di un tasso di take-up delle misure pari al 100%.

Fonte: elaborazioni degli Autori su dati It-Silc 2017

La tabella 4 riporta una ripartizione in classi di età differente rispetto a quella utilizzata sinora, poiché l’unità di analisi qui non sono più gli individui bensì i nuclei familiari[11], i quali vengono ricondotti alla figura rappresentativa della persona di riferimento (o capofamiglia-richiedente). Le stime suggeriscono che la ripartizione della spesa rispetto alle classi di età della persona di riferimento tende ad essere similare tra Rei e Rdc, per quanto riguarda le classi centrali, mentre presenta differenze rispetto alla quota di spesa destinata alla popolazione under 44 e over 65. In base alle nostre stime, il Rdc, rispetto al Rei, destina una quota di spesa maggiore alla popolazione anziana pari a 15%, e al contrario una quota inferiore per la popolazione 35-44 e under 34, (rispettivamente 24,2% e 13,3%).

Il dato più interessante, a nostro avviso, emerge in relazione al tasso di crescita delle singole quote di spesa nel passaggio dal Rei al Rdc. Come mostra l’ultima colonna della tabella 4 per tutte le classi di età si stima che, con un tasso di take-up al 100%, il Rdc possa determinare complessivamente una spesa pubblica molto più elevata rispetto al Rei (+351%), ma è la classe di età più anziana a ricevere il maggior beneficio (+830%). La spesa prevista per i potenziali beneficiari under 34 del Rdc risulta essere circa 4 volte la spesa del Rei, mentre le risorse destinate dal Rdc alla popolazione anziana potenzialmente beneficiaria risultano essere 9,3 volte quelle previste nella precedente misura. Come mostra la tabella A.2, questo atteggiamento pro-elderly della misura è, in linea teorica, fortemente guidato dalla sua componente legata alla Pdc[12].

E se la scala di equivalenza Rdc cambiasse?

Come evidenziato in precedenza, la scala di equivalenza adottata nel Rdc presenta un andamento più ‘piatto’ rispetto alla scala Isee, ma anche ad altre scale consolidate come quella dell’OCSE modificata. Il grafico 1, che riporta i valori medi stimati per numero di componenti familiari, mostra che, al crescere del numero dei componenti il divario – nullo o ridotto nel caso di single o coppia – tra la scala Rdc e le altre tre scale considerate si accentua in modo significativo fino a raggiungere circa il 40% nel caso di un nucleo composto da sei membri o più. Poiché la scala di equivalenza agisce sia nella soglia reddituale di accesso alla misura sia nella definizione dell’importo economico, l’aver adottato una scala bassa come quella Rdc ha avuto dunque come principale conseguenza quella di sfavorire l’accesso e ridurre il beneficio economico delle famiglie numerose e/o con figli minori.

 

Grafico 1 Valori medi delle scale di equivalenza in esame per numero di componenti nel nucleo familiare

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Fonte: elaborazioni degli Autori su dati It-Silc 2017

L’effetto contenitivo della scala utilizzata nel Rdc appare più evidente se si analizzano le stime della tabella 5. Le colonne relative alle variazioni percentuali dei valori stimati tra la scala Rdc e le scale identificate (ultime tre colonne a destra) presentano, per tutte le tipologie di beneficiari individuati, variazioni sempre positive, a indicare in queste ultime dei fattori moltiplicativi più elevati. Inoltre, è interessante notare che tali variazioni sono minori nella popolazione over 65 e più marcate per la popolazione under 44, e che crescono in modo proporzionale al crescere del numero dei componenti familiari o dei minori presenti nel nucleo. Appare inoltre evidente che l’effetto contenitivo ottenuto grazie all’introduzione del tetto nella scala Rdc risulta piuttosto ridotto se comparato all’utilizzo di scale alternative (variazioni A-B nella tabella 5).

 

Tabella 5 Variazione % del valore medio della scala di equivalenza per caratteristica demografica dei nuclei potenzialmente beneficiari del Rdc

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Nota: stima dei potenziali beneficiari basata su ipotesi di un tasso di take-up delle misure pari al 100%.

Fonte: elaborazioni degli Autori su dati It-Silc 2017

Questi risultati indicano che l’applicazione di una differente scala di equivalenza al Rdc, lasciando invariato l’impianto della misura, comporterebbe effetti espansivi che andrebbero a maggior beneficio delle categorie di popolazione che abbiamo visto essere maggiormente esposte ai rischi di povertà, ossia i minori e le giovani generazioni soprattutto se inseriti in nuclei familiari ampi. La successiva tabella 6 evidenzia inoltre che un tale cambiamento non modificherebbe di molto le caratteristiche medie della popolazione beneficiaria, ma ne aumenterebbe significativamente la numerosità, comportando variazioni relative a discapito della copertura delle famiglie monocomponente e a parziale favore di quelle in cui vi è la presenza di minori.

Se le caratteristiche della popolazione rimangono più o meno invariate nei quattro scenari proposti, ciò che varia in modo significativo è l’importo medio delle prestazioni e soprattutto la spesa complessiva destinata alle misure che passa dai 10,63 milioni di euro nel caso del Rdc ai 15,66 stimati in relazione all’utilizzo della scala Ise (tabella 6).

 

Tabella 6 Stime sulle caratteristiche del Rdc e della sua platea di potenziali beneficiari per ipotesi di modifica della scala di equivalenza

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Nota: stima dei potenziali beneficiari basata su ipotesi di un tasso di take-up delle misure pari al 100%.

Fonte: elaborazioni degli Autori su dati It-Silc 2017

7. Conclusioni

Questo articolo analizza le due misure di contrasto alla povertà attualmente vigenti in Italia – Reddito d’inclusione e Reddito di cittadinanza – rispetto alla loro capacità di contrastare il rischio di povertà delle coorti generazionali componenti la popolazione italiana. Per rispondere a questo quesito abbiamo utilizzato un modello di micro-simulazione fiscale di natura statica che ci ha permesso di stimare le caratteristiche delle potenziali platee beneficiarie di entrambe le misure, e la relativa spesa. Questa ricerca muove, oltre che da considerazioni di natura teorica rispetto al disegno del Rdc, anche dalla evidenza empirica dell’inversione di tendenza dei profili generazionali della povertà avvenuta nell’ultimo decennio in Italia, ovvero la progressiva crescita dell’esposizione a tale rischio delle nuove generazioni a favore di un miglioramento della condizione della popolazione anziana.

I risultati presentati confermano che l’espansione di potenziali beneficiari avvenuta nel passaggio Rdc-Rei non è equidistribuita tra le classi di età dei beneficiari, e soprattutto, che risulta essere in controtendenza con l’evoluzione dei profili generazionali della povertà. Nello specifico, la comparazione tra la composizione della platea di potenziali beneficiari del Rei rispetto a quella del Rdc indica che, nonostante il Rdc garantisca in termini assoluti una maggior protezione contro il rischio della povertà, tende a favorire in termini relativi, sia nella copertura che nella spesa, la componente anziana della popolazione e presenta una minore tutela delle generazioni più giovani. La scala di equivalenza adottata nel Rdc ha un ruolo chiave in tale direzione. Inoltre, i risultati indicano che la non applicazione del ‘tetto’ a 2,1 produrrebbe miglioramenti marginali, suggerendo che per ottenere una distribuzione delle risorse maggiormente in linea con i profili generazionali della povertà è necessaria la modifica dell’impianto della misura stessa.

Oltre a questi aspetti di natura di policy l’articolo solleva, a nostro avviso, due importanti considerazioni. In ottica di breve periodo, considerando che l’ingresso in età pensionabile dei Baby boomers continuerà almeno per un decennio, notiamo un forte disallineamento tra il carattere pro-elderly della misura e i trend che caratterizzano e caratterizzeranno la popolazione povera nei prossimi anni. In ottica di lungo periodo, considerando il drastico invecchiamento della nostra popolazione – nel 2070 l’incidenza della popolazione over 65 crescerà del 10%, mentre quella degli over 80 del 120% (Commissione europea 2018)  – e l’altrettanto previsto mutamento della situazione economica dei futuri anziani, ossia le giovani generazioni odierne, occorre a nostro avviso tutelare maggiormente le giovani generazioni anche per contrastare gli effetti moltiplicativi generati dalla trasmissione intergenerazionale della povertà.

 

Appendice

Grafico A.1 Percentuale di famiglie beneficiarie di trasferimenti sociali per decile di reddito. Anno 2016

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Nota: i decili di reddito familiare disponibile sono calcolati dopo aver escluso dallo stesso il beneficio economico derivante dai trasferimenti sociali analizzati. La voce ‘Solo trasferimenti means-tested’ si riferisce ai soli trasferimenti per accedere ai quali è prevista una prova dei mezzi e che non sono vincolati al versamento di contributi lavorativi.

Fonte: elaborazioni degli Autori su dati It-Silc 2017

 

Tabella A.1 Composizione assoluta e relativa per classe d’età del capofamiglia dei nuclei potenzialmente beneficiari di Rei e Rdc e di quelli in condizioni di povertà

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Nota: stima dei potenziali beneficiari basata su ipotesi di un tasso di take-up delle misure pari al 100%.

Fonte: elaborazioni degli Autori su dati It-Silc 2017

 

Tabella A.2 Composizione per presenza in famiglia di over 67 dei nuclei potenzialmente beneficiari e spesa complessiva prevista per Rei e Rdc

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Nota: stima dei potenziali beneficiari basata su ipotesi di un tasso di take-up delle misure pari al 100%.

Fonte: elaborazioni degli Autori su dati It-Silc 2017

 

Tabella A.3 Spesa pubblica complessiva prevista per Rei e Rdc per classi di età del capofamiglia quando vengono esclusi dalla popolazione i nuclei composti da soli anziani over 67

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Nota: stima dei potenziali beneficiari basata su ipotesi di un tasso di take-up delle misure pari al 100%.

Fonte: elaborazioni degli Autori su dati It-Silc 2017

 

Tabella A.4  Composizione per classe d’età degli individui e nuclei potenzialmente beneficiari di Rei e Rdc sotto l’ipotesi di un tasso di take-up all’80%

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Fonte: elaborazioni degli Autori su dati It-Silc 2017

 

Tabella A.5 Spesa complessiva prevista per Rei e Rdc per classi di età del capofamiglia sotto l’ipotesi di un tasso di take-up all’80%

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Fonte: elaborazioni degli Autori su dati It-Silc 2017

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1

Fonti dati: demo.Istat.it  (ultima consultazione 27/09/2019) ed Eurostat database (ultima consultazione 27/09/2019).

2

Le stime e le analisi relative al Rei presentate nei paragrafi successivi si basano sul modello a universalismo selettivo del Rei.

3

I dati e le relative considerazioni presentate in questo paragrafo sono da considerarsi descrittivi al fine della definizione del contesto su cui l’analisi insiste. Nonostante il mutamento qui presentato sia strettamente connesso a dinamiche generazionali, effetti di coorti (pensionistiche), l’analisi delle sue determinanti è al di là dello scopo di questo articolo.

4

Si è deciso di utilizzare come ultimo dato il 2016 anziché il 2017 in quanto corrisponde all’anno di riferimento utilizzato per le stime della platea dei beneficiari Rei e Rdc presentate di seguito.

5

Nell’insieme dei trasferimenti sociali monetari Eurostat inserisce: i sussidi di disoccupazione, le pensioni (es. pensioni di anzianità, pensioni di reversibilità, assegno sociale), i sussidi per malattia e/o disabilità, i benefici economici collegati all’educazione (es. borse di studio), i trasferimenti a famiglie e bambini, i sussidi per social housing o case popolari e anche tutti gli altri trasferimenti, non classificati nelle precedenti ‘categorie’, che hanno come obiettivo principale quello di contrastare la povertà e l’esclusione sociale. L’inclusione in questo insieme prescinde dalla natura contributiva del trasferimento, nonché dalla previsione di una prova dei mezzi all’accesso.

6

Nella tabella 2, così come nella successiva, si ritiene beneficiaria di un trasferimento sociale la totalità dei membri del nucleo familiare beneficiario di tale trasferimento, di conseguenza il 72% dei minori è membro di un nucleo familiare che riceve un trasferimento sociale. Al contrario, quando si fa riferimento all’età del capofamiglia, ad esempio nella tabella 4, si fa riferimento alla sola età del richiedente della prestazione sociale.

7

Il modello di micro-simulazione adottato in questa analisi è stato recentemente sviluppato da alcuni membri del Centro di analisi delle politiche pubbliche (Capp) dell’Università di Modena e Reggio Emilia e dell’Inapp. Alcune applicazioni di differenti versioni dello stesso modello possono essere trovate anche in Baldini e Gallo (2016) e Baldini et al. (2019).

8

Il patrimonio finanziario dichiarato dalle famiglie nel campione It-Silc è aumentato tramite un moltiplicatore che dipende dal decile di reddito e varia tra 1,5 e 4,5. A tal proposito, si noti che l’attitudine a sotto-riportare il proprio patrimonio è positivamente correlata al reddito familiare. I moltiplicatori per decile di reddito sono stimati attraverso la metodologia suggerita da Boscolo (2019), che corregge i patrimoni finanziari dell’indagine It-Silc usando i dati dell’Indagine della Banca d’Italia sulla ricchezza delle famiglie italiane e i conti finanziari nazionali per l’anno 2018 come riferimento. Per chiarezza si precisa che, dato che l’adattamento dei patrimoni dichiarati nell’indagine con quelli reali della popolazione totale avviene tramite l’uso di moltiplicatori, il numero delle famiglie che dichiarano un patrimonio finanziario pari a zero (circa il 6% del campione It-Silc 2017) rimane il medesimo. Maggiori dettagli sono disponibili su richiesta agli Autori.

9

Lo stesso ragionamento non può essere fatto sul patrimonio finanziario perché, ai fini della dichiarazione per il calcolo Isee, la giacenza media dei conti correnti delle famiglie e l’eventuale possesso di depositi o di portafogli finanziari in generale (e il loro conseguente valore monetario) si basano su documenti bancari ufficiali.

10

Per la stima dell’implementazione del Rdc, Inps ha invero ipotizzato nel suo modello di micro-simulazione una percentuale di registrazione dei contratti di locazione fra i potenziali beneficiari della misura più bassa e pari al 50% (Audizione presso la Commissione XI del Senato, 4 febbraio 2019). Sebbene i risultati siano simili (relativi intervalli di confidenza si sovrappongono) quando modifichiamo la nostra ipotesi in modo da renderla coincidente con quella formulata da Inps, a nostro parere l’ipotesi di un tasso di registrazione al 75% è più verosimile in quanto prende in considerazione l’incentivo alla registrazione costituito dalla possibilità di ottenere un beneficio economico più elevato, sino a 280 euro in più al mese.

11

A fini di controllo, la tabella A.1 in Appendice riporta i risultati presentati nella tabella 3 utilizzando come unità di analisi i nuclei familiari.

12

Questa considerazione, così come l’atteggiamento pro-elderly della misura, necessita di essere corroborata da ulteriori valutazioni di natura non simulativa. Alcuni recenti lavori (si veda ad esempio Mazzaferro et al. 2019), infatti, sembrano suggerire che i vincoli patrimoniali, così come quelli di reddito, e l’incoerenza del disegno della misura rispetto alle esistenti misure di supporto al reddito rivolte alla popolazione anziana, determinino un contenuto successo della Pdc. Inoltre, la presenza di altri trasferimenti sociali di natura pensionistica, quali ad esempio gli assegni sociali o le integrazioni al minimo, preesistenti alle misure qui in esame e di fatto complementari al Rei, considerati i suoi stringenti requisiti di accesso, potrebbe in parte condurre a una sovrastima della pro-elderness dell’attuale Rdc-Pdc. Per tale ragione, come analisi di sensitività, si è deciso di replicare nella tabella A.3 in Appendice l’analisi illustrata nella tabella 4 dopo aver escluso dalla popolazione i nuclei composti da soli anziani over 67, ovvero le famiglie che potrebbero essere potenzialmente beneficiarie dei suddetti trasferimenti sociali pensionistici. Come atteso, le stime in tabella A.3 mostrano che il valore assoluto e la quota di spesa dedicata ai nuclei con capofamiglia over 65 diminuiscono per entrambe le misure, mentre gli altri valori rimangono i medesimi della tabella 4. Nonostante le modifiche, comunque, le nostre considerazioni sulla pro-elderness del Rdc vengono confermate in questa analisi di robustezza. Per ulteriori approfondimenti su questo importante e interessante aspetto si rimanda a studi futuri.