L’evoluzione normativa in materia di trasparenza è racchiusa in un arco di tempo che copre un quarto di secolo che va dal 1990 (legge n.241) al 2016???. È un quarto di secolo nel quale si è avuto un mutamento dell’assetto e delle finalità della disciplina, di quella che chiamiamo genericamente trasparenza (making the power visible). La “casa di vetro” nel 1990 era concepita come diritto di accesso ai documenti amministrativi; quindi, era un diritto che si esercitava su richiesta, principalmente per far valere proprie aspettative legittime, con esclusione di numerosi documenti, e con esclusione di alcune finalità che, invece, ora sono diventate rilevanti, come quella del controllo generalizzato, popolare, diffuso, sulla pubblica amministrazione.
Per l’influenza esercitata principalmente dal Freedom of Information Act americano, e in parallelo con gli analoghi sviluppi della disciplina europea, l’assetto che è stato disegnato nel 1990 si è modificato con una serie di leggi per le quali dal diritto di accesso ai documenti si è passati a una trasparenza o accessibilità totale, per promuovere la partecipazione e per favorire il controllo diffuso del potere pubblico. Non c’è bisogno di indicare un interesse giuridicamente rilevante per diventare titolare di questo diritto alla trasparenza.
Ci sono stati, quindi, quattro cambiamenti di fondo. In primo luogo, come accennato, si è passati dall’accesso ai documenti alla trasparenza.
In secondo luogo, quello che prima era un diritto relativo alla sola pubblica amministrazione è diventato un diritto che ha come soggetti passivi, sia pure in misura differente tra loro, organi costituzionali, politici, Regioni, Enti locali e persino organismi globali, partecipate pubbliche, autorità amministrative indipendenti. Da ultimo, la legge sul così detto whistleblowing, in difesa, nel rapporto di lavoro, di coloro che agiscono come “spie” della trasparenza, definisce “dipendente pubblico” non solo il dipendente pubblico in senso stretto, ma anche il dipendente di un ente pubblico economico (che è invece il dipendente privato di un ente pubblico) e persino i lavoratori e i collaboratori delle imprese fornitrici di beni e servizi o che realizzano opere in favore dell’amministrazione pubblica, che sono a loro volta dipendenti privati di enti privati. Quindi un forte allargamento dell’ambito dei soggetti sottoposti a questa disciplina.
Il terzo cambiamento è l’aumento delle finalità della disciplina, perché a questo punto si aggiungono il controllo popolare e la prevenzione della corruzione e, quindi, aumentano le possibilità di conflitto con interessi antagonistici a questi, cioè interessi pubblici alla tutela del segreto.
Il quarto cambiamento si è avuto quando, dall’affidamento della cura di questi interessi alla Commissione per l’accesso ai documenti amministrativi (CADA), si è passati all’affidamento della cura di questi interessi prevalentemente all’Autorità nazionale anticorruzione (ANAC).
In un quarto di secolo, quindi, la disciplina di questa materia ha mutato completamente ambito, direzione e soggetti incaricati della cura di questo interesse pubblico.
Per quanto riguarda il secondo punto, relativo alle linee di fondo delle norme vigenti, per analizzare queste ultime bisogna considerare diversi aspetti. Primo, i tipi di obblighi. Secondo, i soggetti passivi. Terzo, i soggetti attivi, cioè quelli che fanno valere gli obblighi.
Per il primo aspetto, la norma prevede la libertà di accesso, la pubblicazione di documenti e le denunce che possono essere rivolte alle pubbliche amministrazioni. Il diritto di accesso è regolato nelle forme tipiche del procedimento amministrativo a istanza di parte, e quindi, con una domanda dell’interessato e con un procedimento determinato dalle norme e con le esclusioni ben note, quelle relative all’ordine pubblico, alla sicurezza e ai rapporti con l’estero.
In secondo luogo, c’è l’obbligo di pubblicazione, che deve essere adempiuto tempestivamente e che copre un periodo di cinque anni dalla produzione o dalla raccolta del documento, ma – aggiunge la norma – “fino a che produce effetti”. Ora, questo è facile da determinare per un documento o per un atto amministrativo, perché produce effetti per un certo periodo di tempo, ma come si fa a stabilire fino a quando produce effetti una raccolta di informazioni (ad esempio i nominativi dei consiglieri di amministrazione o i dati gestionali di un certo ente)? Quest’obbligo di pubblicazione prevede un obbligo accessorio, quello di creare un’apposita sezione del sito web dell’organismo o ente interessato, che si chiama Amministrazione Trasparente.
Gli obblighi di pubblicazione hanno oggetti che sono numerosissimi, riguardano l’organizzazione, i titolari di incarichi politici e amministrativi, di incarichi di collaborazione e consulenza e di incarichi in società, gli amministratori, la dotazione organica e il costo del personale, il personale a tempo determinato, gli incarichi affidati a dipendenti pubblici, i bandi di concorso, i dati su contrattazione collettiva, sugli enti vigilati e controllati, sulle concessioni, sui contributi e sulle sovvenzioni, sui soggetti beneficiari. Per le Regioni, anche i dati sui gruppi consiliari di Regioni e Province, dati sul bilancio, dati sul patrimonio pubblico, dati sulle prestazioni e sui servizi, sui tempi di pagamento. A questo proposito si entra in un campo difficile: i tempi di pagamento quali sono? Quelli di una singola procedura di spesa o i tempi di pagamento medi? Seguono i dati sui procedimenti amministrativi, i dati sui pagamenti informatici, sulla pianificazione e valutazione delle opere pubbliche, sulla pianificazione e il governo del territorio (ma questo riguarda solo alcuni enti), sulle informazioni ambientali e sui servizi sanitari nazionali. Una disciplina apposita è stabilita per la pubblicazione delle banche dati.
Gli obblighi sono tre: l’obbligo di far accedere quando c’è la richiesta di accesso; quello di pubblicare per assicurare la trasparenza; quello di tutelare i denunzianti. I soggetti passivi sono la pubblica amministrazione, le società controllate, le associazioni e le fondazioni e gli enti di diritto privato finanziati in maniera maggioritaria dalla pubblica amministrazione, salvo la lista più ampia che riguarda il terzo tipo di obbligo, che include anche numerosi soggetti privati che hanno relazioni con la pubblica amministrazione.
Qual è il soggetto attivo? Dei due soggetti preposti alla cura degli interessi pubblici in materia, la CADA riveste un ruolo secondario e si è progressivamente specializzata in una funzione paragiurisdizionale di soluzione di controversie tra pubbliche amministrazioni e cittadini circa l’applicazione delle norme sull’accesso ai documenti amministrativi. Ma – e qui veniamo al difetto capitale di tutta questa normativa – il principale soggetto attivo è l’ANAC, organismo responsabile del controllo dell’attuazione di tutta la normativa. C’è un legame organizzativo, ma c’è anche un legame finalistico. La trasparenza è vista in funzione della prevenzione della corruzione. L’ANAC è responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza dell’amministrazione ed ha, in base agli articoli 45 e 48[1], il controllo della compliance e, quindi, dell’adempimento degli obblighi in materia di trasparenza, oltre quelli principali, relativi alla prevenzione della corruzione. Di qui la stessa norma all’articolo 10 che prevede un coordinamento tra il Piano nazionale per la prevenzione della corruzione e la produzione della trasparenza.
Quali sono i problemi sollevati da questa normativa?
Primo: le finalità della normativa. Esse sono indicate dalle norme. Il comma 2 dell’articolo 1 del decreto[2] dispone che la trasparenza, nel rispetto delle disposizioni in materia di segreto di Stato, segreto di ufficio, segreto statistico e protezione dei dati personali, concorre ad attuare il principio democratico e i principi costituzionali di uguaglianza, imparzialità, buon andamento, responsabilità, efficacia ed efficienza nell’utilizzo di risorse pubbliche, integrità e lealtà nel servizio della Nazione. Essa è condizione di garanzia delle libertà individuali e collettive, nonché dei diritti civili, economici e sociali, integra il diritto a una buona amministrazione e concorre alla realizzazione di un’amministrazione aperta, al servizio del cittadino.
Quindi, scopo fondamentale è quello della tutela dei diritti e della promozione della partecipazione e del controllo diffuso del potere pubblico. Perché, se questi sono i fini, la gestione è affidata all’ente che cura il fine di prevenire la corruzione? In tutta la norma ricorre solo la parola “integrità” che potrebbe dare un fondamento all’attribuzione della gestione della legge all’ANAC; tuttavia, su 53 articoli, 18 riguardano l’ANAC.
Ora, considerare la trasparenza sub specie della corruzione è un difetto fondamentale di ottica di questa normativa, che ha finalità molto più nobili, molto più vaste, che vanno molto al di là del fenomeno limitato della corruzione.
Tanto più che il problema della corruzione è sopravvalutato perché fondato su dati che attengono alla percezione della corruzione. Ora, più e meglio è controllata la corruzione, più essa è percepita. Si intrecciano due circoli, uno virtuoso e uno vizioso: la sanzione della corruzione rende il fenomeno più visibile e fa percepire l’Italia come un Paese con altissimo livello di corruzione. Due economisti, Gianpaolo Galli e Antonio Misiani, hanno svolto indagini non sulla base della corruzione percepita, ma della corruzione conosciuta. L’Istat ha pubblicato un’indagine statistica[3] svolta su un campione di 43.000 persone. L’una e l’altra indagine mostrano che l’Italia ha un livello di corruzione paragonabile a quello francese. Donde la domanda: se la trasparenza è amministrata in funzione della corruzione e se la corruzione è un fenomeno non conosciuto, ingigantito, non si fa l’errore di distorcere il vero fine della trasparenza, condizione di garanzia delle libertà individuali e funzionale al diritto a una buona amministrazione?
A questo si aggiunga che la cosiddetta anticorruzione è attività preventiva, che va molto limitata perché pone limiti e dispone sanzioni senza previ accertamenti in contraddittorio in sede giudiziaria.
L’ultimo punto riguarda l’esercizio dei poteri dell’ANAC. L’articolo 10 già citato dispone un coordinamento tra Piano della trasparenza e Piano della corruzione. L’ANAC ha deciso che deve esservi piena integrazione, andando ben oltre, quindi, il coordinamento. L’ANAC dovrebbe emanare linee guida: ma le Delibere del 28 dicembre 2016, n. 1309 e n. 1310 e la bozza di quella più recente, in realtà sono un esercizio interpretativo della norma.
Un altro problema riguarda la grande quantità di informazioni da pubblicare. Questo, a un tempo, appesantisce le amministrazioni, favorisce comportamenti elusivi, complica il controllo. Le misure adottate nella disciplina più recente per semplificare la trasparenza in parte devono essere rese operative; in altra parte, sono insufficienti.
Ultimo problema: è più utile che la trasparenza sia generalizzata o che sia finalizzata? Vi sono due modi per non informare, il primo è di non offrire informazioni, l’altro di fornirne troppe. Anche quest’ultima modalità può servire all’opacità del potere. Questo è il vero problema che oggi si pone a chi deve gestire la trasparenza: attuare i principi della trasparenza in modo che non costituisca un mero adempimento burocratico[4].
Giudice emerito della Corte Costituzionale e professore emerito della Scuola Normale Superiore di Pisa, nonché professore di “Global governance” al “Master of Public Affairs” dell’“Institut d’Etudes Politiques” di Parigi. Ha insegnato nelle Università di Urbino, Napoli, Roma, New York, Parigi e Nantes. È stato Ministro per la Funzione Pubblica del 50° Governo della Repubblica italiana, presieduto da Carlo Azeglio Ciampi. Ha pubblicato numerosi articoli e saggi in riviste e volumi nazionali e internazionali. Dal 2015 è editorialista del “Corriere della Sera”.
Decreto legislativo 14 marzo 2013, n.33, come modificato dal decreto legislativo 25 maggio 2016, n. 97 Revisione e semplificazione delle disposizioni in materia di prevenzione della corruzione, pubblicità e trasparenza, correttivo della legge 6 novembre 2012, n. 190 e del decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33, ai sensi dell’articolo 7 della legge 7 agosto 2015, n. 124, in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche.
https://www.istat.it/it/files/2017/10/La-corruzione-in-Italia.pdf?title=La+corruzione+in+Italia+-+12%2Fott%2F2017+-+Testo+integrale+e+nota+metodologica.pdf.
Sulla trasparenza si possono leggere: A. Natalini, G. Vesperini (2015), Il Big Bang della trasparenza, Napoli, Editoriale scientifica; E. Carloni (2014), L’amministrazione aperta. Regole e strumenti e limiti dell’open government, Roma, Maggioli. Sotto il profilo più pratico: B. Ponti, (2016), Nuova trasparenza amministrativa e libertà di accesso alle informazioni, Roma, Maggioli; L. Olivieri (2016), Sulla riforma della trasparenza. Come cambia il D. Lgs. 14 marzo 2013, n. 33 dopo il D. Lgs. 25 maggio 2016, n. 97, Roma, Maggioli.