SINAPPSI

2018/1

Lavoro temporaneo, scioperi, investimenti e competitività: il ruolo della contrattazione in deroga al CCNL


Nell’articolo si analizza l’effetto che gli accordi che derogano alla legislazione del lavoro e al CCNL (art. 8, D.L. n. 138/2011) esercitano sulla conflittualità nelle relazioni industriali, sulla propensione a utilizzare contratti a termine, sugli investimenti e sulla competitività delle imprese. A tal fine si utilizzano i dati della Rilevazione su Imprese e Lavoro (RIL) condotta dall’INAPP nel 2015 su un campione rappresentativo di società di persone e società di capitali operanti nel settore privato extra-agricolo. Sono quindi discusse le implicazioni di politica economica.

The paper analyses whether the possibility of signing a firm-level agreement in derogation of the law and of the national collective contracts (CCNL), as introduced by Article 8 of Decree Law 138/2011, affects the use of temporary contracts, the nature of industrial relations and firms’ competitiveness. At this aim, we use the data of the Employers and Employee Survey (RIL) conducted by Inapp in 2015 on a representative sample of the Italian firms. We then proceed with the discussion of the implication for economic policy. Citazione: Ricci A. (2018), Lavoro temporaneo, scioperi, investimenti e competitività: il ruolo della contrattazione in deroga al CCNL, Sinappsi , 8, n. 1, pp. 23-32

Introduzione

Nel dibattito attuale di politica economica vi è una crescente attenzione sulla opportunità di favorire la diffusione della contrattazione integrativa come leva fondamentale per migliorare l’efficienza del mercato del lavoro e la competitività delle imprese???. Gli accordi integrativi a livello aziendale (e territoriale) sono visti infatti come un elemento in grado di favorire l’organizzazione flessibile dei mercati interni del lavoro, la crescita dei salari legata alla performance e l’acquisizione di competenze professionali capaci di sfruttare vantaggi competitivi legati alle nuove tecnologie (Lazear e Oyer 2011; Bloom e Van Reenen 2011; Ichniowski e Shaw 2003). Queste argomentazioni permettono di razionalizzare, tra l’altro, i numerosi interventi normativi che negli ultimi anni sono stati attuati nella direzione di decentralizzare l’assetto istituzionale delle relazioni industriali (D’Amuri e Nizzi 2017).

In questa prospettiva, uno degli interventi più importanti sul piano legislativo e negoziale è stato l’approvazione dell’art. 8 del D.L. 13 n. 138/2011[1] che prevede la possibilità di siglare accordi aziendali in deroga alla legge e al contratto collettivo nazionale del lavoro (CCNL). La previsione di una deroga del contratto collettivo su importanti aspetti dell’organizzazione del lavoro può avere in effetti implicazioni di notevole importanza per l’andamento del mercato del lavoro nel nostro Paese. Da una parte, l’introduzione dell’art. 8 del citato decreto porta con sé il rischio di alimentare una eccessiva frammentazione del sistema della contrattazione anche in materie significative come quelle concernenti i livelli di tutela dei lavoratori e le condizioni di reddito, con un impatto potenzialmente negativo sulla natura cooperativa delle relazioni industriali (Scarpelli 2011; Cipolletta 2011). Dall’altra parte, le clausole di deroga tendono a ridurre il potere di intermediazione del sindacato nel processo di distribuzione dei rendimenti attesi degli investimenti, incentivando così l’accumulazione di capitale fisico e del potenziale produttivo delle aziende (D’Amuri e Giorgiantonio 2015). Quali di questi effetti sia prevalente nella direzione di favorire o frenare la capacità competitiva del tessuto produttivo è una questione che non può essere risolta a priori sulla base di ipotesi teoriche, ma è opportuno che sia affrontata attraverso l’adozione di un approccio empirico.

Le pagine seguenti provano ad affrontare queste tematiche utilizzando i dati della Rilevazione su Imprese e Lavoro (RIL) condotta dall’Inapp (ex Isfol) nel 2015 su un campione rappresentativo di aziende operanti nel settore privato extra-agricolo.

L’analisi si pone tre obiettivi principali. Primo, monitorare quanto sia effettivamente diffusa l’adozione delle clausole di deroga al CCNL (o contratti di prossimità) nell’ambito del sistema delle relazioni industriali, declinando tale indagine per dimensione aziendale, zona geografica e settore di attività. Secondo, misurare empiricamente la relazione che lega i contratti di prossimità e alcuni importanti aspetti dell’organizzazione del lavoro e delle strategie aziendali: il ricorso al lavoro temporaneo, l’incidenza di fenomeni di conflittualità (eventi di sciopero) e la probabilità di investire in beni capitali. In terzo luogo, verificare fino a che punto la diffusione dei contratti di prossimità ha avuto un impatto diretto sulla redditività delle imprese.

In questo contesto analitico, le analisi descrittive permettono di dimostrare come circa il 9% delle imprese con almeno 10 dipendenti ha siglato un accordo di contrattazione integrativa, mentre solo per il 2% del campione l’accordo decentrato prevede una deroga esplicita alla legislazione sul lavoro e al CCNL. La diffusione degli accordi in deroga tuttavia cresce significativamente con la dimensione di impresa, arrivando a un’incidenza media del 25% per le realtà produttive con oltre 250 dipendenti. L’applicazione di semplici modelli di regressione lineari indica inoltre che la stipula dei cosiddetti contratti di prossimità si accompagna ad un incremento della propensione a investire (+7,1%) e alla probabilità di eventi conflittuali nelle relazioni industriali (+11,8%), ovvero si associa ad un incremento della quota di lavoratori con contratti a tempo determinato (+1,8%). L’applicazione di modelli di regressione non lineari conferma sostanzialmente questi risultati, permettendo di enfatizzare la coerenza degli stessi con le indicazioni della letteratura economica.

Le nostre evidenze empiriche, infatti, supportano l’ipotesi che la deregolamentazione del sistema delle relazioni industriali può comportare un’erosione dei livelli di tutela e delle prospettive dei lavoratori, nella misura in cui gli occupati a tempo determinato soffrono di una penalizzazione salariale e professionale rispetto ai colleghi a tempo indeterminato (Isfol, Ricci 2014; Visser 2016). Analogamente, la relazione positiva tra deroghe e investimenti sembra rafforzare l’idea secondo cui “uscire” dall’architettura normativa del contratto collettivo nazionale potrebbe incentivare le aziende ad accumulare capitale fisico perché si indebolisce il potere di negoziazione del sindacato sulla distribuzione dei profitti generati dagli investimenti aziendali (Addison 2016; Cardullo, Conti, Sulis 2015). Si conferma, inoltre, l’ipotesi che l’operare dell’art. 8 del D.L. n. 138/2011 può indebolire la natura cooperativa delle relazioni industriali, con effetti potenzialmente negativi sulla competitività complessiva del tessuto produttivo (Freeman e Medoff 1984; Bandiera, Barankay e Rasul 2006; Addison, Teixeira 2017).

Tuttavia, se analizziamo le stesse evidenze da una prospettiva più generale, esse rivelano più in profondità la debolezza del legame che tiene insieme la liberalizzazione della contrattazione collettiva e le opportunità competitive delle imprese. Tale considerazione emerge in modo più chiaro nella seconda parte dell’analisi dove dimostra che l’adozione dei contratti di prossimità non ha alcuna influenza statisticamente significativa sui ricavi delle vendite, almeno nel breve periodo. Le performance di bilancio non vengono condizionate neanche quando le deroghe sono associate a cambiamenti della propensione a investire, all’utilizzo dei contratti a termine o all’insorgenza di conflitti nelle relazioni industriali.

Va sottolineato che questi risultati sono basati su una strategia econometrica che non è in grado di identificare con esattezza i nessi di causalità tra le variabili oggetto di studio. Tuttavia essi costituiscono qualcosa di più robusto rispetto a semplici correlazioni statistiche dal momento che, come vedremo, sono ottenuti includendo nelle equazioni di regressione una serie molto ricca di variabili di controllo che permettono di minimizzare per quanto possibile la distorsione delle stime.

Il resto del lavoro è organizzato come segue. Il secondo e terzo paragrafo presentano rispettivamente i dati e le statistiche descrittive. Il quarto paragrafo introduce brevemente la strategia econometria. Il quinto e sesto paragrafo discutono i risultati dell’analisi di regressione. Il settimo paragrafo contiene le conclusioni.

I dati

L’analisi empirica si basa sui dati della Rilevazione su Imprese e Lavoro (RIL), condotta da Inapp nel 2015 su un campione rappresentativo di oltre 30.000 società di capitali e società di persone che operano nel settore privato non agricolo. L’indagine RIL fornisce, infatti, informazioni molto dettagliate circa l’assetto delle relazioni industriali, l’organizzazione dei mercati interni del lavoro e le performance produttive delle imprese.

In particolare, la sezione L del questionario RIL raccoglie dati sulla copertura del contratto collettivo nazionale del lavoro (CCNL) e l’appartenenza a una associazione di categoria, sulla adozione di accordi decentrati (a livello aziendale e territoriale), sulla presenza di rappresentanze sindacali (RSU/RSA) e su possibili eventi di conflittualità tra lavoratori e datori di lavoro (ore di sciopero). Nell’indagine 2015 è stata poi inclusa una domanda attraverso cui si chiede esplicitamente alle imprese che hanno siglato un contratto integrativo se quest’ultimo introduce una deroga alla legislazione sul lavoro e al contratto collettivo nazionale, come previsto dall’art. 8 D.L. n. 138/2011[2]. È evidente che la ricchezza di queste informazioni è tale da fornire un quadro aggiornato e per molti aspetti innovativo delle caratteristiche istituzionali del mercato del lavoro oltre a permettere di indagare in profondità se e in che modo la diffusione dei contratti di deroga condizionano la dinamica della vita aziendale.

Per quanto riguarda la selezione del campione, l’analisi viene limitata alle realtà produttive con almeno 10 dipendenti e ciò per garantire un livello minimo di organizzazione del mercato interno del lavoro. Una volta operata tale selezione, il campione RIL si riduce a circa 14.000 società di persone e di capitali.

Le statistiche descrittive

La tabella 1 riporta le statistiche descrittive (pesate) che riguardano le caratteristiche dell’assetto delle relazioni industriali, declinate per dimensione aziendale, macro-area geografica e settore di attività. Nel complesso dell’economia italiana, circa 9% delle aziende adotta uno schema di contrattazione di II livello, e il 30% di esse (pari a circa il 2% del totale del campione) lo fa in senso emendativo del CCNL ovvero con clausole di deroga. La gran parte delle imprese ha sottoscritto un contratto collettivo nazionale del lavoro (91%), il 62% di esse appartiene a una associazione di categoria mentre la presenza di una rappresentanza sindacale (RSU/RSA) riguarda il 20% del campione.

Tabella 1: Statistiche descrittive. Assetto delle relazioni industriali

Tabella 1 Stat descr

 

Fonte: Inapp. Elaborazioni su dati RIL 2015. Applicazione dei pesi campionari. Valori percentuali

 

Naturalmente il sistema delle relazioni industriali nel nostro Paese ha una forte connotazione dimensionale, oltre a essere diversificato per localizzazione geografica e specializzazione produttiva.

Si nota infatti come la diffusione degli accordi decentrati (e dei contratti di prossimità) passa da una percentuale del 3% (1%) per le aziende con meno di 15 dipendenti, a un valore del 9% (2%) per quelle fino a 100 dipendenti, aumenta al 27% (7%) per le imprese con un numero di lavoratori compreso tra 99 e le 250 unità, per arrivare a una percentuale di oltre il 58% (25%) nelle aziende di grandi dimensioni. Analogamente la dimensione aziendale è strettamente legata alla presenza delle rappresentanze sindacali, alla “copertura” dei contratti collettivi e alla scelta di aderire ad associazioni datoriali di categoria.

Per quanto riguarda il profilo geografico, non sorprende che l’incidenza media degli accordi decentrati sia significativamente superiore nelle regioni del Nord (11-12% circa) rispetto al resto del Paese (7-5%); va rilevato che i contratti di prossimità hanno una distribuzione geografica più uniforme, se si eccettua il valore del 3% registrato nelle regioni del Nord-Est. In linea con la natura stessa delle istituzioni del mercato del lavoro, anche la presenza del sindacato e la copertura del CCNL è sostanzialmente uniforme tra macroregioni, mentre l’adesione alle associazioni di categoria è relativamente concentrata nel Nord (68-72%) rispetto al Centro Sud.

In merito ai settori di attività, i dati appaiono più eterogenei. La tabella 1 indica ad esempio che la quota più elevata di imprese con accordi di II livello e contratti di prossimità è specializzata nella produzione e distribuzione di energia, acqua e gas (32% e 6%, rispettivamente), nei trasporti (in media il 16% e 6%) e nell’industria chimica, nella metallurgia e nella meccanica (una media del 13% e 3%, rispettivamente). È interessante ciò che avviene nel comparto dell’intermediazione e dei servizi alle imprese dove si assiste a una percentuale relativamente bassa di accordi di II livello e relativamente elevata di contratti di prossimità. Nell’edilizia e nel commercio le clausole di deroga sono quasi assenti.

Naturalmente le statistiche della tabella 1 descrivono un assetto statico delle relazioni industriali, quello cioè che viene fotografato attraverso i dati del 2014, e non forniscono alcuna indicazione circa le caratteristiche del mercato del lavoro e del tessuto produttivo.

In questa prospettiva è quindi utile esaminare brevemente le caratteristiche del campione RIL, ovvero il profilo manageriale e produttivo, nonché la composizione della forza lavoro che ha fatto da cornice alla riforma del 2011 (vedasi tabella A in appendice).

Il primo aspetto da sottolineare si riferisce alle variabili rispetto alle quali viene analizzata l’efficacia della contrattazione in deroga. Si osserva così che circa il 49% delle imprese effettua investimenti, che il 12% dei dipendenti ha un contratto a tempo determinato, mentre gli eventi di sciopero coinvolgono circa il 4% delle aziende presenti nel campione[3].

Per quanto concerne gli assetti manageriali e proprietari, si osserva che la quota di imprese con a capo un individuo con istruzione terziaria è circa il 26% del totale, l’incidenza di quelle gestite da imprenditori con una istruzione secondaria è il 53%, mentre il 20% circa delle imprese è gestito da datori di lavoro con al massimo un titolo di licenza secondaria inferiore. Ciò conferma che una parte predominante dell’imprenditorialità nel nostro Paese continua ad avere un livello medio di istruzione relativamente modesto rispetto a quanto registrato negli altri Paesi europei (Bugamelli, Cannari, Lotti, Magri 2010).

In merito alle caratteristiche della forza lavoro, si rileva che la quota di lavoratori con un titolo di studio universitario (11%) è largamente inferiore alla proporzione di dipendenti con istruzione secondaria superiore (46%), ribadendo ancora una volta come il basso livello medio di capitale umano sia un elemento comune della classe imprenditoriale e della forza lavoro. Per il resto, la quota di coloro che hanno frequentato un’attività di formazione professionale è pari al 36%, mentre la componente femminile si assesta al 33% del totale dei dipendenti.

Le statistiche relative alle caratteristiche di impresa, infine, confermano alcuni aspetti noti del sistema produttivo italiano. Le aziende presenti nel campione RIL sono in media di piccole dimensioni, per la grande maggioranza sono di proprietà familiare (circa l’85%), competono nei mercati internazionali per una quota di circa il 32% del totale e per la maggioranza relativa sono localizzate nelle regioni del Nord-Ovest (33%).

La strategia econometrica

L’analisi econometrica arricchisce il quadro descrittivo nella misura in cui esamina le conseguenze della contrattazione in deroga tenendo conto delle caratteristiche della specializzazione produttiva, dell’assetto manageriale e proprietario nonché della composizione della forza lavoro occupata.

Si procede quindi in due fasi. Nella prima fase le implicazioni dei contratti in deroga sono analizzati in rapporto a tre diverse variabili dipendenti: la propensione a investire, la quota di lavoratori con contratto a tempo determinato e la probabilità di un evento di sciopero. Nella seconda fase l’attenzione si focalizza sulla relazione che lega gli accordi in deroga e la performance di impresa, misurata dai ricavi delle vendite, verificando altresì come tale relazione è condizionata dai possibili canali di trasmissione esaminati nella prima parte dell’analisi, ovvero dall’impatto che le deroghe esercitano sugli investimenti, sul lavoro temporaneo e sulla conflittualità.

Nel complesso, una strategia basata sull’applicazione dei modelli di regressione (lineari e non lineari) ai dati cross-sezionali del 2014 non è in grado di cogliere con precisione il ruolo della eterogeneità non osservata delle imprese né di identificare con esattezza nessi di causalità delle variabili oggetto di studio[4]. Tuttavia essa rappresenta qualcosa di più robusto rispetto a semplici correlazioni statistiche visto che le stime, come vedremo, sono ottenute includendo nelle equazioni di regressione una ricca serie di variabili di controllo.

Contratti a termine, scioperi e investimenti

La tabella 2 riporta le stime ottenute regredendo separatamente tre distinte specificazioni della variabile dipendente: l’incidenza degli investimenti, la quota di contratti a tempo determinato e gli eventi di sciopero. Le prime colonne riportano le stime dei coefficienti ottenute attraverso un modello lineare (OLS), le ultime tre colonne mostrano le stime degli effetti medi marginali derivate da modelli di tipo Probit e Tobit[5].

Tabella 2: Stima dei coefficienti (OLS) e degli effetti medi marginali (ML)

Tabella 2 Stima coeff

 

Note: le caratteristiche manageriali includono il livello di istruzione degli imprenditori/manager, assetti proprietari; le caratteristiche degli occupati riguardano struttura per eta e qualifica professionale; le caratteristiche di impresa tengono conto del settore di attivita, dimensione aziendale, macroregione, commercio internazionale eta impresa. Errori standard [robusti] tra parentesi. Significativita statistica *** p

Fonte Inapp. Elaborazioni su dati RIL 2015

 

Si considerino innanzitutto le stime OLS. Si osserva così che le clausole di prossimità si accompagnano a un incremento significativo degli investimenti (+7,1%), a una maggiore quota di lavoratori con contratti a tempo determinato (+1,8%) e ad un aumento della probabilità di conflitti nelle relazioni industriali (+11,8%). A questo proposito è interessante sottolineare come le nostre variabili dipendenti siano influenzate anche da altre caratteristiche dell’assetto delle relazioni industriali. In particolare, l’incidenza degli scioperi è correlata positivamente non solo alla presenza di rappresentanze RSU/RSA dei lavoratori (+11,7%), ma anche all’appartenenza ad associazioni datoriali da parte delle imprese (+1,5%). Per ciò che concerne gli investimenti e il lavoro temporaneo, le rappresentanze dei datori e dei lavoratori giocano invece un ruolo diverso. Nello specifico, l’appartenenza ad una associazione datoriale riflette una più elevata propensione a investire (+8,2%) mentre non influenza significativamente la quota di contratti a termine. Al contrario la presenza di sindacati non mostra alcuna correlazione significativa con la scelta di investire mentre riduce il ricorso ai contratti a tempo determinato (-0,03), come già dimostrato dal recente contributo di Devicienti, Naticchioni e Ricci (2017).

L’applicazione dei modelli di regressione non lineari conferma sostanzialmente gli esiti delle analisi OLS. Ciò emerge chiaramente nelle ultime tre colonne della tabella 2, dove sono riportate le stime degli effetti medi marginali derivanti dall’applicazione di modelli di tipo Probit e Tobit. Anche in questo caso, infatti, l’adozione di contratti in deroga si accompagna ad un incremento della propensione ad investire (+10%) e della probabilità di sciopero (+3,7%), nonché ad un aumento della quota di contratti a termine (+1,3%)[6]. In altre parole, il valore assoluto delle stime dipende in qualche misura dai metodi di regressione utilizzati, ma nel complesso esse appaiono stabili rispetto alle diverse specificazioni econometriche, anche tenendo conto di una ricca serie di caratteristiche produttive, manageriali e occupazionali che minimizzano il rischio di distorsione dei risultati.

Altri risultati

La tabella 2 completa il quadro inferenziale mettendo in luce il ruolo della composizione della forza lavoro e di altre caratteristiche competitive. Focalizzando l’attenzione sulle stime OLS, il primo elemento da notare riguarda il fatto che la quota di laureati incentiva gli investimenti (+11,8%) e la diffusione dei contratti a termine (+0,10%) mentre riduce lievemente la probabilità di sciopero (-0,9%). Ciò è coerente con l’ipotesi di una forte complementarietà tra investimenti in capitale fisico e capitale umano dei lavoratori, ovvero con l’idea che l’accumulazione di conoscenze e abilità di tipo cognitivo ed emotivo, che tipicamente si acquisiscono nel corso del percorso scolastico e universitario, porta con sé attitudini verso la cooperazione anche nell’ambito dell’organizzazione dei mercati interni del lavoro (Feher, Gotte e Zehnder 2009). La relazione positiva tra quota dei laureati e utilizzo dei contratti a tempo determinato (+11,8%) può essere spiegata con il fatto che la componente più istruita degli occupati tende a sovrapporsi con le coorti dei più giovani che, a loro volta, vengono in genere assunti con contratti a tempo determinato. Di conseguenza, l’incremento del livello medio di istruzione degli occupati favorisce, attraverso un effetto di composizione generazionale, la diffusione dei contratti a termine. Anche per ciò che riguarda la formazione professionale, la stima positiva con gli investimenti (+13,2%) può essere argomentata facendo riferimento a fenomeni di complementarietà tecnologica tra capitale umano e accumulazione di capitale fisico (Ferri, Guarascio, Ricci 2018), mentre il dato negativo riferito ai contratti a termine (-1,1%) è coerente con quanto trovato in studi precedenti. Ci si aspetta infatti che le opportunità formative siano correlate positivamente alla stabilità del rapporto di lavoro, un legame i cui nessi di causalità sono comunque mediati dalle caratteristiche produttive delle imprese e dalle istituzioni che regolano l’organizzazione dei mercati interni del lavoro (per una discussione teorica su questo aspetto, vedasi Ricci e Waldmann 2015). Per ragioni analoghe, l’acquisizione di competenze professionali si accompagna alla possibilità di rivendicare migliori condizioni salariali e di crescita professionale, che si possono manifestare anche attraverso eventi di conflitto nelle relazioni industriali. Per ciò che concerne le donne, la loro presenza è negativamente associata alle scelte di investimento (-7,5%) e con eventi di conflitto nelle relazioni industriali (-4,3%), mentre aumenta significativamente l’utilizzo dei contratti a termine (+4,5%). La letteratura economica ha messo in luce da tempo, in effetti, come le lavoratrici sono caratterizzate da una maggiore attitudine verso la cooperazione, sono meno propense alla sindacalizzazione e, quindi, hanno un potere contrattuale inferiore rispetto a quello dei colleghi maschi (Bertrand 2011): ciò spiegherebbe non solo l’impatto negativo della loro presenza con gli scioperi e gli investimenti, ma anche la relazione positiva con il lavoro temporaneo.

Naturalmente i risultati esaminati finora dovrebbero essere interpretati nel contesto di una congiuntura economica sfavorevole che può influenzare le relazioni oggetto di studio indipendentemente dai nessi di causalità tra riforma della contrattazione integrativa e organizzazione dei mercati interni del lavoro. Questo aspetto viene controllato, almeno in parte, includendo nelle regressioni un indice di redditività aziendale, il (log del) totale dei ricavi per dipendente. Sotto questo punto di vista, peraltro, si verifica come le performance di bilancio siano correlate positivamente con la probabilità degli investimenti (+1,8%) e negativamente con l’uso dei contratti a tempo determinato (-0,7%), mentre non appare alcun legame significativo con gli eventi di sciopero.

Contratti in deroga e ricavi delle vendite

Le riforme dell’assetto delle relazioni industriali dovrebbero avere come obiettivo principale la creazione di migliori condizioni per le performance competitive delle aziende e, di conseguenza, per la crescita dei salari dei lavoratori (Tronti 2007). Ciò può avvenire sia direttamente che indirettamente, modificando al margine alcuni degli aspetti dell’organizzazione del lavoro e della propensione a investire che abbiamo esaminato nel paragrafo precedente.

L’analisi econometrica presentata qui di seguito permette di approfondire questo tema andando a verificare se e in che misura l’adozione dei contratti di prossimità influenza la redditività delle aziende.

La tabella 3 riporta quindi le stime OLS ottenute regredendo separatamente i (log dei) ricavi delle vendite sulla variabile che indica l’adozione dei contratti in deroga, oltre che su una serie di altri controlli per le caratteristiche delle imprese e dell’occupazione. La tabella 3 mostra inoltre le stime di una seconda specificazione dell’equazione dei ricavi e dell’equazione del costo del lavoro, quella cioè che include i termini di interazione tra deroga da una parte, e scioperi, investimenti e lavoro temporaneo dall’altra[7].

Tabella 3: Stime OLS per il (log dei) ricavi delle vendite per dipendente

Tabella 3 Stime OLS

 

Note: le caratteristiche manageriali includono il livello di istruzione degli imprenditori/manager, assetti proprietari e governance; le caratteristiche degli occupati includono struttura per età, istruzione, qualifica professionale, genere e formazione; le caratteristiche di impresa includono settore di attività, dimensione aziendale, macroregione, commercio internazionale, età impresa. Errori standard [robusti] tra parentesi. Significatività statistica *** p

Fonte Inapp. Elaborazioni su dati RIL 2015

 

In particolare, nella colonna [1] si osserva che la relazione diretta tra adozione dei contratti in deroga e redditività aziendale è negativa sebbene non statisticamente significativa; nella colonna [2] questo risultato viene ulteriormente specificato mettendo in luce come i ricavi delle vendite non sono in alcun modo influenzati dalla presenza di un accordo che deroga il CCNL anche quando questi ultimi sono interagiti con le scelte di investimento, gli eventi di sciopero e il ricorso ai contratti a termine. Al tempo stesso, le stime riportate nelle colonne [1] e [2] della tabella 3 indicano che la correlazione diretta tra investimenti e ricavi delle vendite è sempre positiva (+11,6%), mentre il termine che descrive l’effetto dell’investimento in risposta all’adesione di una clausola di prossimità non è statisticamente significativo. Specularmente, la relazione diretta tra quota di contratti a termine e ricavi è sempre negativa (-0,55%), come già dimostrato in studi precedenti (Damiani, Pompei, Ricci 2014), sebbene il lavoro temporaneo non abbia alcuna implicazione statisticamente rilevante in rapporto alle deroghe. La conflittualità nelle relazioni industriali, se esaminata da sola, tende a deprimere la redditività aziendale mentre la favorisce se esaminata in combinazione alle clausole, anche se in entrambi i casi si tratta di fenomeni statisticamente non significativi (per una discussione approfondita vedasi Card 1990).

In altre parole, è evidente come le stime OLS supportano l’ipotesi che le deroghe al CCNL non abbiano favorito, almeno nel breve periodo, la redditività aziendale né direttamente, né attraverso un cambiamento dei modelli di investimento, delle politiche del personale e delle relazioni industriali, aspetti questi ultimi che sono comunque stati influenzati dalla riforma del 2011 (come dimostrato nel paragrafo precedente). Certamente questo non significa necessariamente che la diffusione dei contratti di prossimità non abbia avuto alcuna influenza sulla competitività del tessuto produttivo. A fronte di un effetto nullo sui ricavi delle vendite, è possibile infatti che le deroghe abbiano comportato una pressione verso il basso del costo del lavoro e, di conseguenza, un effetto positivo sui profitti e sulla competitività[8].

Conclusioni

Nelle pagine precedenti sono state analizzate, da un punto di vista empirico, l’entità della diffusione e le implicazioni economiche dell’utilizzo dei contratti in deroga nell’ambito del sistema delle relazioni industriali italiano. Prendendo spunto dal dibattito di politica economica abbiamo verificato se la possibilità di derogare al CCNL (così come prevista dall’art. 8, del D.L. n. 138/2011) ha avuto un impatto significativo sulla conflittualità nelle relazioni industriali, sulla propensione a utilizzare contratti a termine, sugli investimenti e sulla competitività delle imprese.

In effetti, una delle finalità della riforma del 2011 era proprio quella di introdurre degli elementi di flessibilità organizzativa e di gestione delle risorse umane in modo tale da ampliare lo spettro delle opzioni competitive a disposizione delle imprese (Bloom, Genakos, Sadun e Van Reenen 2010). Al contempo, vi era tuttavia il pericolo che il ricorso alle deroghe avrebbero potuto introdurre elementi di erosione delle tutele dei lavoratori e/o di conflittualità nelle relazioni industriali, con effetti negativi sulla performance aziendale nel medio lungo periodo (Freeman e Medoff 1984).

L’utilizzo dei dati della Rilevazione sulle Imprese e sui Lavoratori (RIL) condotta dall’Inapp nel 2015 ha permesso di testare quale di questi scenari si è concretizzato nella realtà dei fatti ricorrendo a statistiche descrittive e analisi inferenziali. Le statistiche descrittive dimostrano così che solo il 2% del totale delle imprese ha stipulato un accordo in deroga al CCNL nel periodo 2012-2014. Al contempo, l’adozione dei cosiddetti contratti di prossimità ha modificato importanti aspetti della vita aziendale, quali la propensione ad investire, la probabilità di sciopero e l’intensità del ricorso a contratti a tempo determinato. Nel complesso, tuttavia, la possibilità di derogare al CCNL non ha avuto conseguenze su ricavi delle aziende, né direttamente né indirettamente, attraverso il condizionamento sulla propensione a investire, sull’uso dei contratti a termine e sulla propensione a scioperare. Naturalmente, la natura della strategia econometrica adottata e la connotazione “statica” dell’analisi rendono difficile inferire chiare implicazioni di politica economica. Ciò non impedisce tuttavia di dedurre alcune riflessioni sul processo di deregolamentazione delle relazioni industriali, che anche recentemente è proseguito attraverso il riconoscimento di agevolazioni contributive e fiscali per la quota della retribuzione contrattata a livello locale (D’Amuri e Giorgiantonio 2015).

I risultati emersi nei paragrafi precedenti sembrano suggerire, infatti, che le strategie competitive delle aziende italiane non riflettono tanto l’assetto istituzionale del mercato del lavoro quanto piuttosto le specificità produttive, tecnologiche, manageriali e proprietarie della nostra economia. In tal senso l’efficacia delle politiche del mercato del lavoro appare dipendere sempre più dalla capacità di coordinarsi con programmi e interventi diretti al sistema delle imprese (Ricci 2014).

Appendice

Tabella A1. Caratteristiche del campione

05_Tabella Appendice A 1

 

Fonte: Inapp. Elaborazioni su dati RIL 2015. Applicazione dei pesi campionari. Valori percentuali

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Ricercatore Inapp e dottore di ricerca in materie economiche. È responsabile in Inapp del Progetto strategico Analisi delle politiche pubbliche. Si è specializzato in analisi economica e econometrica applicate ai temi del mercato del lavoro, delle imprese e della crescita. È autore di articoli in riviste nazionali e internazionali.

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In particolare si tratta del Decreto Legge del 13 agosto 2011, n. 138, Ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo, convertito in Legge il 14 settembre 2011, n.148

3

Formalmente: “La contrattazione integrativa ha introdotto deroghe alla legislazione sul lavoro (art. 8, decreto legge n. 138/2011) o al contratto collettivo nazionale di lavoro?”

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Nel nostro campione i lavoratori con contratti a tempo determinato risultano essere una proporzione limitata del totale dei dipendenti: questo dato può essere spiegato in realtà dal fatto che le statistiche sui contratti a termine non includono altre forme di lavoro atipico che formalmente ricadono nella definizione di lavoro autonomo (co.co.co, ecc.).

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A questo proposito, è opportuno sottolineare che lo stesso timing di riferimento delle risposte al questionario RIL 2015 rende problematica l’identificazione di nessi di causalità tra variabili oggetto di studio, almeno in ambito cross-sezionale. La deroga alla legislazione del lavoro o al CCNL connessa al D.L. n. 138/2011 potrebbe essere stata stipulata in qualunque momento tra il 2011 e il 2014, mentre le informazioni relative alle nostre variabili di risultato fanno riferimento all’intero anno 2014. Quindi in linea di principio la deroga può essere stipulata dopo che le scelte di investimento, l’uso dei contratti a termine o un evento di sciopero si sono effettivamente realizzati.

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Formalmente si tratta di stimare una equazione di regressione del tipo: [1] Yi=? ·CPi +?·Xi+?i dove la variabile dipendente Yi può indicare alternativamente l’incidenza degli scioperi, la propensione a investire in capitale fisico oppure la proporzione di contratti a tempo determinato nell’impresa i. La variabili esplicativa, CPi è un indicatore dell’adozione dei contratti di prossimità mentre Xi è un vettore che descrive le caratteristiche della forza lavoro occupata, il profilo produttivo e di governance delle aziende. Il termine di errore ?i è un disturbo idiosincratico con media nulla e varianza finta. L’equazione [1] viene stimata attraverso metodi di regressione lineari e non lineari. In particolare la scelta di un modello Tobit è legittimata dal fatto che la quota dei contratti a tempo determinato è una variabile continua che assume valori compresi tra 0 e 1 (per una discussione approfondita su questo punto vedesi Papke e Wooldrige 2008). I modelli di regressione Probit sono applicati nel caso in cui la variabile dipendente è dicotomica, ovvero per calcolare gli effetti medi marginali della probabilità di investire e della probabilità di un evento di sciopero (Wooldridge 2010).

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La differenza tra i valori assoluti delle stime dei coefficienti (prime tre colonne della tabella 2) e quelli associati alle stime degli effetti medi marginali (ultime tre colonne della tabella 2) sono attribuibili ai diversi metodi di stima utilizzati (minimi quadrati ordinari vs massima verosimiglianza). Tale differenza inoltre può aumentare nel caso in cui la frequenza media della variabile dipendente oggetto di studio (es. eventi di sciopero) è prossima a valori minimi (0) o massimi (1).

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In questo caso viene stimata una equazione del tipo: [2] Perfi=?0 ·CPi + ?1 ·CPi · INVi + ?2 ·CPi ·FTi+ ?3 ·CPi·SCi+ ?·Xi+?i dove la variabile dipendente Perfi indica il (log dei) ricavi delle vendite per dipendente. Per quanto concerne le variabili esplicative, ·CPi riflette l’adozione o meno di una deroga al CCNL, mentre i termini CPi ·INVi, CPi ·FTi e CPi·SCi rappresentano, rispettivamente l’interazione tra deroga e investimenti, tra deroga e quota di contratti a termine e tra deroghe ed eventi di sciopero. Infine, il vettore Xi include le caratteristiche produttive e manageriali nonché la composizione degli occupati, mentre termine di errore ?i è un disturbo idiosincratico con media nulla e varianza finta. Le stime dei coefficienti dell’equazione [2] sono ottenute utilizzando la tecnica dei minimi quadrati ordinari.

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Per verificare tale ipotesi è necessario un approfondimento sulla dinamica dei salari a seguito della variazione di legge. Le evidenze preliminari in questo ambito mostrano, d’altra parte, che le deroghe esercitano una influenza statisticamente non significativa sul costo del lavoro, almeno nel breve periodo e nell’ambito di analisi cross-sezionali. Questi risultati sono disponibili a richiesta da parte dell’autore.