1. Introduzione
Il presente contributo ha l’obiettivo di tratteggiare problematiche rilevanti ai fini della valutazione della politica di contrasto alla povertà denominata Reddito di Dignità (ReD), introdotta in Puglia dalla L.R. n. 3, del 14 marzo 2016. Tale dispositivo, disciplinato dal regolamento attuativo Reg.R. n. 8 del 23 giugno 2016, è integrato al Sostegno di Inclusione Attiva (SIA) nazionale[1], sino all’avvicendamento, come misura nazionale di contrasto alla povertà, del Reddito di Inclusione (ReI), attuato dal decreto legislativo n. 147/2017. Quest’ultimo provvedimento stabilisce tra l’altro che i servizi sociali aggiuntivi in grado di assicurare sui territori l’implementazione della misura costituiscono Livelli Essenziali di Prestazioni (LEP), (Agostini 2018).
La prima parte del lavoro è dedicata a una breve descrizione del ReD, con particolare riferimento alla definizione della platea dei beneficiari, alla composizione socio-demografica degli ammessi per la prima annualità di finanziamento (2016/2017), ai loro percorsi di attivazione, al lavoro delle équipe multiprofessionali sui territori[2].
La seconda parte evidenzia alcune questioni valutative, connesse alla necessità di rendere conto della misura in termini di risultati.
In seguito, sono descritte le modalità di implementazione in parallelo delle misure del ReD e del ReI, a partire dal 1° dicembre 2017, e di come queste abbiano condotto ad alcuni esiti non previsti (Merton 1949). Un cenno conclusivo, infine, è dedicato alla misura del Reddito di Cittadinanza (RdC), approvata nel corso dell’ultima legge di bilancio (2018).
Il disegno della ricerca ha previsto l’analisi documentale di comunicati della Regione Puglia diffusi in rete (https://pugliasociale.regione.puglia.it/), della normativa regionale, di linee guida, e l’analisi secondaria di dati di elaborazione della Regione Puglia, tra cui alcuni monitoraggi intermedi diffusi in occasione di ‘cabine di regia’, ovvero riunioni di monitoraggio tra rappresentanti di Ambiti territoriali e funzionari e tecnici regionali. In particolare, dietro nostra richiesta, dalla Sezione Inclusione sociale attiva e innovazione delle reti sociali è stato prodotto il monitoraggio Regione Puglia: I percorsi di attivazione dei destinatari finali del “Reddito di Dignità” – ex L.R. n. 3/2016 (aggiornato al 25 gennaio 2018).
Per quanto riguarda la raccolta di dati primari, sono state effettuate interviste in profondità a dirigenti di Regione, oltre che, sempre a livello regionale, a rappresentanti sindacali, del Terzo settore e a presidenti di Centri di Servizio per il Volontariato. In particolare, sono state effettuate dieci interviste in profondità, semi-strutturate, di cui cinque ad altrettanti Responsabili Unici per il Procedimento (RUP) di Ambiti territoriali e due focus tematici, condotti dall’Autrice, che hanno visto la partecipazione di assistenti sociali, esperti di orientamento lavorativo, consulenti della Regione (16 e 29 giugno 2017, Università degli Studi di Bari Aldo Moro, Dipartimento di Scienze della formazione, psicologia e comunicazione). I focus sono stati organizzati con la collaborazione del Consiglio regionale assistenti sociali-CROAS Puglia al fine di raccogliere, dalle varie figure di operatori coinvolti nell’implementazione del SIA-ReD, testimonianze sull’andamento del processo di implementazione nei territori, informazioni su come i diversi ambiti si stessero organizzando e quali forze e strumenti stessero mettendo in campo.
Più nel dettaglio, al primo focus hanno partecipato dieci testimoni privilegiati e al secondo sei. Sono stati inoltre interpellati, per il reperimento di dati tecnici, funzionari di Regione nonché assistenti sociali specialisti. Inoltre, abbiamo avuto accesso a dati regionali di monitoraggio e a documenti di programmazione intermedia. Le fonti da interviste sono riportate indicando ruolo dell’intervistato e data dell’intervista. Nel caso dei responsabili di Ambito territoriale, questo è identificato dalla sigla della Provincia.
2. Criteri di eligibilità
La platea degli aspiranti beneficiari del SIA-ReD si compone di coloro che sono in possesso degli stessi requisiti reddituali, patrimoniali e familiari previsti per aspirare al SIA nazionale, ma è allargata anche a coloro che non hanno figli minori nel nucleo familiare o sono persone sole. Il beneficio economico, che nella misura nazionale è corrisposto in 80 euro a componente, e può arrivare a 400 euro mensili per un anno in caso di famiglie numerose, in Puglia in quest’ultimo caso è elevato fino a 600 euro[3].
La soglia minima di accesso al beneficio è stata inizialmente fissata in 45 punti, calcolati sugli stessi requisiti del SIA:
- ISEE uguale o inferiore a 3.000 euro;
- presenza nel nucleo familiare di: uno o più figli minori, o disabili, o donna in stato di gravidanza accertata da almeno quattro mesi;
- assenza nel nucleo familiare di: redditi da assistenza superiori a 600 euro al mese; percettori di misure assistenziali quali NASpI (Nuova Assicurazione Sociale per l’Impiego) o AsDi (Assegno di Disoccupazione).
Durante i primi mesi di attuazione è stato però evidente come tale soglia, combinata all’impossibilità di cumulare prestazioni assistenziali oltre i 600 euro mensili, si traducesse in una inefficiente copertura delle domande. A tal proposito, in sede di conferenza Stato-Regioni, è stata avanzata la richiesta di una modifica dei criteri di accesso in chiave maggiormente inclusiva, che ha avuto come esito l’emanazione del decreto interministeriale 16 marzo 2017, Allargamento del Sostegno per l’Inclusione Attiva (SIA).
Per effetto delle modifiche che il decreto introduce, le domande pervenute nel corso del 2017 sono state prese in considerazione sino a una concorrenza dei requisiti di 25 punti; è stata elevata la soglia massima di cumulo consentito di prestazioni assistenziali a 900 euro mensili nel caso in cui sia presente una persona non autosufficiente; è stato elevato l’importo mensile del beneficio di 80 euro nel caso di nucleo monogenitoriale con presenza di figli tutti minori. A proposito delle soglie di accesso bisogna osservare che siamo in presenza di uno degli adattamenti che hanno fatto pensare di essere ancora una volta nel corso di una fase sperimentale. A questo livello si osserva inoltre uno dei primi disallineamenti tra SIA e ReD, il fatto cioè che mentre per il SIA il decreto interministeriale del 16 marzo 2017 riconosce l’abbassamento della soglia a 25 punti, non è stato possibile allargare fino a tal punto la platea di coloro i quali avrebbero percepito esclusivamente il beneficio ReD, dal momento che, funzionando retroattivamente la norma per i nuclei familiari con componenti ‘fragili’, l’INPS ha ‘ripescato’ le domande che, inoltrate entro gennaio 2017, erano state escluse, con il rischio di esaurire la dotazione finanziaria dedicata. Ai decisori non è rimasto che ‘contenere’ l’abbassamento della soglia per i nuclei unipersonali e senza figli minori che si è assestata sui 40 punti. Gli esclusi dal ReD, dal canto loro, non hanno potuto che reiterare l’istanza, sulla scorta della nuova soglia di accesso abbassata a 40 punti.
L’altro dato di mancata integrazione riguarda il fatto che la disciplina del SIA, pur promuovendo l’inclusione sociale attraverso percorsi di attivazione lavorativa, di fatto ne ha disposto la deroga, in quanto la loro organizzazione si sarebbe protratta oltre i tempi della contribuzione finanziaria. Per il ReD questa deroga non è stata possibile, per cui per molti beneficiari del SIA-ReD veniva erogata la porzione del SIA ma non quella del ReD. La ragione della impossibilità della deroga è da individuare nella natura vincolata dei fondi europei ai quali la Regione Puglia ha attinto per finanziare il ReD nella sua componente di attivazione. Più nel dettaglio, per l’annualità considerata in questa analisi, tali fondi provengono da risorse del Fondo Sociale Europeo (FSE) riconducibili all’obiettivo tematico IX del Progetto Obiettivo Regionale (POR) Puglia 2014-2020 per complessivi 75 milioni di euro (Azioni 9.1-9.4) nel quinquennio 2016-2020, da risorse FSE di cui all’obiettivo tematico VIII del POR Puglia 2014-2020 per altri 75 milioni di euro nello stesso arco temporale, e da fondi regionali, che ammontano a 5 milioni di euro di stanziamento per il 2016 sul bilancio autonomo[4]. Le azioni che è possibile finanziare attraverso l’obiettivo tematico VIII e l’obiettivo tematico IX sono esplicitamente finalizzate all’integrazione lavorativa e all’integrazione professionale di persone svantaggiate, e condizione all’ammissibilità delle stesse è l’avvio documentato del tirocinio.
3. Gli output della misura: domande, copertura (take up), prese in carico
Per questo esercizio faremo riferimento a dati che risalgono all’inizio del 2018 e che derivano dal monitoraggio effettuato dalla Regione Puglia, operato sulla base della prima annualità finanziaria. Il periodo considerato copre le istanze pervenute tra il 26 luglio 2016 e il 31 ottobre 2017, data in cui la procedura si è interrotta per poi ri-agganciarsi al ReI dal 1° dicembre dello stesso anno. Tale monitoraggio riguarda, oltre che le domande pervenute, i percorsi di attivazione dei beneficiari.
Sono 47.068 le domande di ammissione al beneficio presentate, di cui istruite 44.218 e ammesse 15.314[5].
Nella composizione tra domande SIA-ReD e domande ReD, la popolazione delle domande ammesse si divide quasi a metà, con una leggera prevalenza (53,7%) degli ammessi SIA-ReD, cioè di quei nuclei familiari con minori, o disabili, o donne al quarto mese accertato di gravidanza.
Dal quadro socio-anagrafico delle domande ammesse emerge innanzitutto che per il 64,5% si tratta di domande presentate da donne. Il dato della prevalenza femminile si inquadra nella lettura per la quale, all’interno del nucleo familiare, è la donna che più frequentemente ha rapporti con i servizi sociali e diventa quindi la figura di beneficiario sulla quale si disegna il percorso di attivazione:
Donne, anche italiane, estromesse dal mercato del lavoro, entrano in competizione con le straniere per il badantato, cominciano ad avere difficoltà, a fronte del fatto che o si separano o che il marito perde il lavoro, le donne diventano l’elemento di sostentamento della famiglia…anche perché un uomo a fare le pulizie non ci va, le donne si arrangiano in qualsiasi modo…[6].
Si stempera invece, per effetto della revisione dei requisiti di accesso, il ‘peso’ della presenza nel nucleo familiare di almeno un minore. Sulle 9.424 domande ammesse fino al 20 dicembre 2016 la presenza di un minore emergeva con uno schiacciante 75,52%[7], mentre sulle domande pervenute sino al 31 ottobre 2017 la percentuale scende al 51%.
Altre indicazioni sulla composizione socio-demografica mostrano che:
- in una percentuale pari all’82,2% il beneficiario ha meno di 50 anni;
- per il 57,4% i beneficiari della prima annualità del SIA-ReD (2016/2017) sono in possesso di diploma di scuola media inferiore;
- l’1,6% tra loro ha conseguito una laurea;
- il 21% ha un nucleo familiare monogenitoriale[8].
4. L’attivazione socio-lavorativa
Parte costitutiva dell’intervento è il patto di attivazione socio-lavorativa che il richiedente deve sottoscrivere, condizionale al godimento del beneficio monetario. Tale attivazione trova il suo centro in un tirocinio lavorativo, ma può riguardare, laddove la valutazione (assessment) ne metta in evidenza la necessità, anche un intervento formativo o di aggiornamento professionale, per adeguare le competenze in possesso del beneficiario, oltre a qualunque intervento socio-assistenziale di cui il nucleo familiare di appartenenza del richiedente possa aver bisogno per uscire da una situazione di deprivazione socio-economica. Le linee guida per la presa in carico degli utenti SIA, applicabili anche alla platea pugliese, distinguono tra utenza semplice e utenza complessa (Ministero del Lavoro e delle politiche sociali 2016). Nel primo caso il percorso è attivato a seguito di un bilancio delle competenze operato dagli esperti di orientamento lavorativo dei Centri per l’Impiego provinciali; nel secondo, a seguito di valutazione dell’équipe multidisciplinare dell’Ambito territoriale sociale di residenza: tale tirocinio è affiancato da interventi a tutela di componenti fragili del nucleo familiare, da interventi di mediazione linguistica, di conciliazione vita-lavoro e da quant’altro potrà essere messo a disposizione.
Alla progettazione dei tirocini di inclusione socio-lavorativa e dei progetti di prossimità (se l’ente proponente è una organizzazione di volontariato senza dipendenti) sono chiamati enti pubblici, privati for profit e non profit, disposti ad accogliere tirocini, della durata massima di un anno, che, a partire dal 21 luglio 2016, hanno popolato il relativo catalogo regionale, chiamato Catalogo regionale delle opportunità di attivazione. Come recita il bando[9], possono proporre progetti di tirocinio per i beneficiari del ReD tutti i soggetti pubblici e privati con personalità giuridica (con esclusione, dunque, delle persone fisiche), dotati di autonomia operativa e che abbiano almeno una sede sul territorio regionale pugliese. Tali progetti andranno a popolare un catalogo di Ambito territoriale distinto in tre sezioni:
- sezione A - ospitante proposte di tirocinio effettuate da soggetti pubblici;
- sezione B - ospitante proposte di tirocinio effettuate da soggetti privati, profit e non profit, con personale dipendente;
- sezione C - ospitante proposte di tirocinio effettuate da soggetti privati, associazioni di volontariato, o comunque Enti del Terzo Settore (ETS) senza personale dipendente.
I percorsi di inclusione attivati a seguito della presa in carico sono così ripartiti quanto a tipologia:
- tirocini per l’inclusione sociale (ospitati da imprese private e per progetti delle scuole e dei comuni/enti pubblici), iscritti alle sezioni A -soggetti pubblici- e B -soggetti privati con personale dipendente- del catalogo;
- progetti di sussidiarietà e prossimità nelle comunità locali (ospitati da organizzazioni del Terzo settore), iscritti alla sezione C del catalogo;
- lavori di comunità (progetti individuali di impegno a favore del proprio nucleo familiare o di reciprocità-vicinato).
La tabella che segue (tabella 2) mostra lo stato dell’arte dei tirocini a catalogo, alla data del 25 gennaio 2018 distinguendo per ‘fase’ di lavorazione: le manifestazioni di interesse (MI), cioè le proposte di tirocini da parte degli enti, devono passare un vaglio di ammissibilità[10] che concerne i requisiti strutturali: la presenza di una sede nell’Ambito territoriale, il non essere interessati da procedure fallimentari (per il profit), l’adeguatezza del numero di posti messi a disposizione rispetto ai dipendenti dell’azienda. Il numero di progetti sopravanza quello delle manifestazioni di interesse in quanto ogni ente può proporre più di un progetto e ogni progetto può prevedere più di un percorso. È preponderante la presenza di percorsi di attivazione messi a disposizione da enti pubblici, in primis scuole, Comuni e Ambiti territoriali (si vedano i posti disponibili iscritti alla sez. A del catalogo), mentre scarsa è la presenza di ETS (nel caso specifico, associazioni di volontariato) disposti ad accogliere tirocinanti (sez. C del catalogo).
Secondo i dati più aggiornati messi a disposizione dalla Regione, i tirocini si distribuiscono secondo lo schema sinottico che segue.
A commento della tabella 3 bisogna dire che, essendo esaurite le prime due tipologie di tirocinio, si presume che il residuo delle 2.850 domande ancora da prendere in carico, alla data del monitoraggio, andrà ad aumentare la percentuale di lavoro di comunità[11].
A seconda dell’ente ospitante - che, una volta superati i controlli strutturali e di ammissibilità del progetto di tirocinio, preliminarmente all’avvio dello stesso, deve stipulare una convenzione con l’Ambito sociale territoriale - il percorso di attivazione prende una denominazione differente.
La prima tipologia risponde alle forme di regolamentazione proprie del tirocinio lavorativo e, come tale, deve rispondere anche quanto a vincoli e condizioni: è necessario che venga istituito un tutor, un registro di tirocinio, l’azienda è tenuta a rispettare una proporzione tra numero di dipendenti e numero di tirocinanti, che non possono essere più di uno ogni cinque dipendenti.
Nel caso della seconda tipologia si tratta di ETS non aventi natura di impresa che non possono essere ricompresi nella categoria di enti ospitanti tirocini. Per questo ogni progetto può includere un solo percorso di attivazione, riqualificato come ‘progetto di sussidiarietà’. È però possibile, per associazioni di volontariato o parrocchie, presentare più di un progetto. Permane l’obbligo di individuare un tutor e di tenere un registro delle attività.
Un discorso a parte merita la terza tipologia, detta di ‘lavori di comunità’. Inserita a percorso di attuazione intrapreso, rappresenta anch’essa una forma di adattamento in corso d’opera, dovuta al fatto che il numero di tirocini che hanno popolato il catalogo delle manifestazioni di interesse si è rivelato insufficiente a coprire l’elevato numero di domande di beneficio pervenute (Salvati 2017, 239). L’Amministrazione regionale ha ovviato a questa difficoltà approvando, attraverso delibera della Giunta regionale n. 972 del 13 giugno 2017, un format di tirocinio di attivazione socio-lavorativa, che viene chiamato ‘Lavoro di Comunità’, finalizzato all’inserimento in percorsi di inclusione consistenti in assistenza leggera e basati su relazioni di vicinato o di condominio. Sono stati chiamati come garanti di quest’ultima tipologia di tirocinio enti e associazioni non profit già attivi nei Comuni dell’Ambito territoriale di residenza dell’estensore della domanda in iniziative e servizi di contrasto alla povertà, come mense, dormitori, servizi a bassa soglia. Ognuno dei tirocini soggiacenti nella categoria ‘Lavori di Comunità’ è garantito dalla figura di un tutor appartenente a un ente non profit come sopra descritto.
Le reazioni degli utenti registrate al prospettarsi di questa tipologia di tirocinio sono state diverse a seconda della situazione di partenza e delle aspettative che essi nutrivano nei confronti del percorso di attivazione.
Tra chi versa in una reale situazione di bisogno, per il quale il percorso di inserimento lavorativo avrebbe rappresentato un’effettiva chance di fuoriuscita dalla situazione di disagio economico, si segnala una reazione di segno negativo[12].
In questo percorso, infatti, né la forma ‘lavoro’ in termini di frequenza, impegno, collocazione pur temporanea, in un contesto produttivo è soddisfatta, né la possibilità di re-impiego lavorativo o pronostico di occupabilità. Quando non sia lavoro di cura interno al proprio nucleo familiare, nei confronti di un bambino piccolo o di un anziano non autosufficiente, si tratta di lavori di reciprocità o di vicinato, come percorsi di educazione alimentare nelle scuole o sorveglianza vicino alle scuole, per l’attraversamento stradale, o cura del verde pubblico. Non si tratta in ogni caso di lavori che tengono occupati per due-tre ore al giorno, ma di un impegno più diluito. Nel caso di beneficiari che abbiano effettivi carichi di cura che impediscono un impegno lavorativo fuori casa, l’accoglienza è positiva, come anche in quei casi in cui rappresenti una modalità ‘opportunistica’, per persone che praticano un’attività lavorativa sommersa e per le quali il lavoro di comunità rappresenta un’entrata aggiuntiva netta.
In questo senso, l’escamotage dei Lavori di Comunità, se individuato già nelle prime fasi di attuazione, avrebbe evitato casi di falsi positivi e di falsi negativi. In altri termini ci sono stati beneficiari ‘forzatamente’ abbinati a percorsi di attivazione per i quali erano manifestatamente inadeguati, per oggettivi limiti propri o di carico familiare, e casi di coloro che, nei primi mesi della procedura (parliamo di quegli Ambiti territoriali che già a giugno 2017 erano in una fase avanzata di attuazione), non hanno potuto mantenere fede al Patto di attivazione, venendo meno al godimento di un diritto alla loro portata se fossero rientrati in questa forma di attivazione più soft.
Da parte dei servizi sociali di alcuni Ambiti territoriali si è potuto rilevare un atteggiamento esemplificato dallo stralcio di intervista che riportiamo:
…cioè noi abbiamo fatto anche uno screening dei rinunciatari, questa è una cosa importante, perché il bambino non si sveglia, perché era più bello prendere i soldi senza fare niente…perché non sta scritto da nessuna parte, quando torni a bomba per chiedere il contributo per la casa, che noi te lo dobbiamo dare, perché ti è stata data una possibilità[13].
L’aggiornamento delle schede dell’utenza, in occasione della presa in carico, ha previsto per alcuni Ambiti territoriali di depennare coloro i quali non si fossero resi disponibili all’attivazione del SIA-ReD dalle liste degli aventi diritto ad altre forme di beneficio, o all’assegnazione di lavori socialmente utili (guardiania, manutenzione leggera), reiterando la figura del ‘povero meritevole’ degli albori del servizio sociale professionale[14].
Commenti in questo senso sono stati raccolti anche da utenti dei servizi sociali, i quali si sono visti rimproverare il fatto di accettare forme di assistenza monetaria, come il bonus bebè, che non prevedono attivazione, a fronte del rifiuto alla sottoscrizione del Patto condizionale al SIA-ReD[15]. Una forma di ‘meritorietà’ (Rossi 2017) sembra affliggere questa misura, gravata dalla destinazione ‘specifica’ dei fondi FSE sui quali insiste, il che ha fatto osservare che si perseguono obiettivi ordinari attraverso strumenti straordinari[16].
5. Distribuzione territoriale dei tirocini
Sulla distribuzione territoriale dei tirocini i dati di monitoraggio regionale intermedio, finalizzato a controllare l’andamento delle prese in carico, descrivono l’ineguale restituzione dello stato di attivazione dei tirocini da parte degli Ambiti territoriali di residenza.
Più nel dettaglio, il 14 settembre 2017, nel corso di un workshop organizzato dalla Regione Puglia presso la Fiera del Levante, vengono diffusi dati che fotografano una situazione nella quale la carenza di tirocini sembra risolta, pur permanendo uno squilibrio, avvertito sin dall’inizio, tra le proposte avanzate da enti pubblici, come Comuni, Ambiti territoriali, o scuole e soggetti del privato, sia for profit che non profit.
Dal comunicato della Consigliera politica per l’attuazione del Programma si può leggere:
Alla data del 12 settembre possiamo contare su circa 2.500 progetti di inserimento che hanno generato quasi 7.000 posti disponibili, ma ce ne sono altri 268 (con ulteriori 729 posti) in corso di lavorazione da parte dei soggetti ospitanti potenziali.
Il 70% degli ammessi alla misura è inserito in percorsi di inclusione (tirocini), anche se con forti differenziazioni territoriali[17].
A un ulteriore appuntamento di monitoraggio avente per oggetto lo stato delle prese in carico, i cui dati sono stati aggiornati al 10 settembre 2017, e diffusi il 10 ottobre 2017, Lo stato di attuazione delle misure SIA-ReD, in occasione di una riunione della Cabina di regia alla presenza dei RUP referenti degli Ambiti territoriali emerge un andamento non lineare nel tempo e non omogeneo quanto a distribuzione[18]. La disomogeneità territoriale rispetto alle prese in carico prende la forma di ritardi accumulati tra gli ambiti territoriali di Taranto, Bari, Lecce, Foggia, che a ottobre 2017 devono ancora prendere in carico tra il quaranta e il sessanta per cento delle domande ammesse.
Per ovviare a un impegno a ‘macchia di leopardo’ da parte dei territori, la Regione ha messo in opera azioni sanzionatorie all’indirizzo degli Ambiti territoriali inadempienti, valorizzando nel contempo quelle competenze e professionalità che si sono espresse sia nell’assistenza ai cittadini che chiedevano informazioni, che nell’accompagnamento degli stessi nel percorso di presentazione della domanda del SIA-ReD (in questo affiancando i CAAF convenzionati), sia nel lavoro di reperimento di nuove possibilità di tirocinio.
6. Questioni valutative emergenti
A seguito della disamina dei dati sin qui raccolti, una prima contraddizione riguarda una non chiara definizione dei risultati attesi. A questo proposito pur essendo stata la politica accompagnata da un importante lavoro di sensibilizzazione sui territori, che ha fatto registrare, sin dalle primissime settimane di avvio della procedura, un alto numero di domande di beneficio, restava poco chiaro per la cittadinanza l’obiettivo della politica[19]. Questo può essere ricavato indirettamente dalle schede di presentazione utilizzate nel corso dei numerosi incontri organizzati in tutta la Regione nel corso del 2016: “Il ReD investe sulla capacità e sul desiderio di ciascuno di rimettersi in gioco, generando valore per la comunità”[20].
Nel corso di presentazioni e comunicati si è più volte ribadito che non si tratta di una misura meramente assistenziale, ma che il beneficio economico, commisurato alla composizione del nucleo richiedente, è un mero pretesto strumentale rispetto a quello che è il nucleo della misura: l’attivazione socio-lavorativa.
Come abbiamo visto in precedenza, questo obiettivo è andato parzialmente disatteso, in quanto più della metà (ma il numero è plausibilmente ancora salito) dei tirocini di attivazione è costituita da lavori di comunità, per i quali il tipo di impegno richiesto è assimilabile all’internalizzazione di cure parentali o welfare leggero.
Tuttavia, a ben guardare, l’obiettivo di outcome che all’avvio della misura, era stato individuato nell’aumentato pronostico di occupabilità del beneficiario[21], sarebbe stato meglio corretto in un cambiamento di prospettiva come esito dell’intervento[22]. Con l’espressione pronostico di occupabilità gli estensori della politica hanno voluto intendere l’esito di aumentata possibilità per i beneficiari del ReD (o SIA-ReD) di trovare un lavoro dopo il tirocinio, come effetto di questo ma a condizione che i tirocini dovessero essere messi a disposizione da privati.
Il pronostico di occupabilità ha senso se c’è un buon privato che interviene, se c’è solo il pubblico, per i vincoli di bilancio, non ci può essere assunzione: 70 e passa [su 124 MI, n.d.r.] delle manifestazioni di interesse che abbiamo caricato in piattaforma, sono enti pubblici, solo pochi sono i privati, sono tutti Comuni, scuole, enti pubblici[23].
Un correttivo intervenuto in corso d’opera è stato allora quello di considerare come outcome, cioè risultato, quella che all’inizio era solo una precondizione, cioè che le persone si siano ‘messe in gioco’, abbiano ‘investito su se stesse’, scommesso sul cambiamento. Questo cambiamento interiore è misurato su un atteggiamento diverso nei confronti delle proprie possibilità, delle proprie capacità.
In questo ravvisiamo una piena adesione all’approccio del social investment, che è esplicitamente richiamato nei documenti di programmazione triennale delle politiche sociali regionali[24].
Nei discorsi istituzionali ricorre l’idea che la povertà non debba essere affrontata attraverso la mera assistenza, ma in modo ‘moderno’, cioè promuovendo percorsi di inclusione sociale e lavorativa.
Secondo il paradigma del social investment: “Le politiche sociali andrebbero viste come un investimento che la società mette in campo per garantirsi un miglior ritorno economico e sociale nel futuro” (Ascoli et al. 2015, 8), e: “[questa] strategia lega la problematica della disoccupazione innanzitutto alla carenza di adeguate competenze e qualificazioni”, più oltre: “Lo Stato deve allora, in tale prospettiva, potenziare le capacità delle persone e creare le condizioni per un maggior protagonismo dei singoli. [Tali politiche] finiscono per costituire un investimento destinato a creare frutti nel breve e medio termine” (ivi, p. 11). Spostando le risorse investite dal passivo sostegno al reddito all’attiva capacitazione (empowerment), attraverso l’attiva costruzione di capitale umano si determina un investimento delle persone su se stesse, ottenendo per questa via “uno spostamento di filosofia della logica dell’uguaglianza (relativa) di risultato, alla logica dell’uguaglianza (relativa) di opportunità” (Ascoli et al. 2015, 14). In altri termini, nella concezione della policy l’impegno (su di sé) ha preso il posto del risultato, mentre il rischio, la scommessa, il ‘(ri) mettersi in gioco’ ha sostituito l’effettivo miglioramento come effetto dell’intervento.
7. Una doppia logica in opera?
Il ricorso all’approccio dell’investimento sociale come cornice legittimante della misura richiama la rilevanza data all’efficacia e all’efficienza (Busso 2015)[25], laddove la prima indica il raggiungimento degli obiettivi e la seconda il fatto che questi processi rispettano il criterio dell’economicità. Corollario dell’adesione a questo approccio di politica sociale è la sua accountability, la possibilità di rendere conto di questi risultati. La strumentazione analitica adottata si richiama all’Evidence Based Practice (EBP), già responsabile dell’approccio manageriale nel campo dei servizi sociali[26].
Ora, a nostro parere, siamo in presenza di una doppia logica che, da una parte, assicura il resoconto dei risultati, assimilando a ‘prodotti’ della politica processi o fasi di processi che vengono prontamente comunicati e quantificati, dall’altra mantiene in uno stato di indeterminatezza gli obiettivi ai quali quegli stessi processi mirano.
Gli attori istituzionali coinvolti adempiono ai loro compiti nei tempi previsti, e si risponde all’esigenza di accountability tramite frequenti e stringenti monitoraggi, frequenti riunioni della cabina di regia, la richiesta periodica di dati da parte dell’Ufficio tecnico regionale. La Regione sta svolgendo un lavoro ‘efficace’, quali che siano le prospettive di successo della politica, gravata da molte alee. La macchina istituzionale ‘funziona’, nel senso che si muove, che produce (domande, riunioni, resoconti, comunicati, conferenze stampa, campagne e incontri di sensibilizzazione)[27].
Le ragioni che hanno limitato l’adozione dell’EBP nel campo dei servizi sociali sono le stesse che rendono difficile una rendicontazione coerente in questo caso con l’idea di investimento sociale, e si richiamano all’estrema variabilità dei contesti di intervento e delle risposte individuali (Gambardella e Lumino 2015).
Del resto, non mancano critiche ‘interne’ all’enfasi sull’attivazione, che risponde a un’esigenza di sostenibilità sociale, anziché economica, della misura[28].
La doppia logica considerata all’inizio del paragrafo rileva, in opposizione alla richiamata economicità dell’intervento, piuttosto a un suo spreco[29], nei termini per i quali si è parlato di eccesso di investimento in capitale umano, come di un tipo di investimento del quale non si può controllare il ritorno in termini economici. Più di recente, Ventura (2017) ha parlato di questo eccesso di investimento in capitale umano come dell’ultima illusione di mantenere per la classe media la sua posizione relativa, minacciata da una crisi economica che non conosce soluzioni. Del resto, i termini richiamati sono opportunità, possibilità, gioco e fanno pensare a un’assunzione di ‘rischio’ imprenditoriale su se stessi che ricorda i capitalisti personali alla Bauman (2002).
Una logica anti-economica si insinua nel meccanismo, laddove esso sembra piuttosto assimilarsi alla logica anti-economica che anima il Terzo settore (Ranci et al. 1991) e alla sua occupazione di nicchie di inefficienza economica già descritte da Seibel (1989).
8. La coperta è troppo corta? La risposta è il patchwork
Una questione assimila il SIA-ReD a una politica di investimento sociale, ed è il suo essere pesantemente gravata da effetti di sostituzione (trade-off). Come la ricerca condotta da Ascoli et al. (2015) ha dimostrato, laddove nel welfare italiano siano ravvisabili politiche inquadrabili nella prospettiva dell’investimento sociale, quindi caratterizzate da interventi promozionali del capitale umano, i loro effetti sono depotenziati da alternative che si escludono mutualmente. Caso tipico in questo senso è dato dalle politiche per la prima infanzia (Salvati 2015b; Trifiletti 2017), per le quali l’aut aut è rappresentato dalla scelta impossibile tra allargamento del servizio di nido, in rispondenza all’esigenza di assicurare l’accesso a quante più famiglie possibile (con l’idea che bambini al nido voglia dire mamme che lavorano) e caduta tendenziale della qualità offerta, sia perché l’aumento dei posti nido è, di fatto, assicurato dai privati, notoriamente in grado di offrire un servizio più flessibile, a costi (comparativamente) più bassi del pubblico, ma il cui personale è sottoposto a meno rigorosi controlli di competenze specifiche, sia perché l’estensione degli orari di accesso al servizio, compatibile con una maggiore flessibilità del servizio stesso, va a detrimento della qualità delle ore trascorse al nido.
Nel caso della politica di contrasto alla povertà della quale stiamo evidenziando i nodi valutativi essenziali, il dilemma è dato dall’allargamento della platea dei beneficiari ben oltre quelli che sarebbero i requisiti di occupabilità che hanno caratterizzato, per esempio, la sperimentazione della Nuova Carta Acquisti Sperimentale (Martelli 2015; Salvati 2015a). In quel caso, la platea dei beneficiari era selezionata sulla base del requisito di non aver perso l’ultima occupazione, formalmente, da più di tre mesi. Allora la scelta di quel requisito fu dettata dalla volontà di intercettare strati di popolazione che, non da lungo tempo fuori dal mercato del lavoro, rispondessero più facilmente a una politica che si voleva di integrazione lavorativa. Tale scelta, però, perlomeno nelle città meridionali sedi della sperimentazione, lasciò fuori una larga parte di povertà estrema pure conosciuta dai servizi sociali. Riguardo al SIA-ReD si è verificato l’effetto opposto: pur in presenza di uno scarso numero di tirocini messi a disposizione dalle aziende, in molti casi non si è riusciti a operare il match con i beneficiari in quanto mancanti di un profilo di competenza adeguato. La scarsa rispondenza tra tirocini e beneficiari va allora riletta alla luce della difficoltà di attivazione di una platea per molti versi priva di skills adeguati (cfr. il dato sul livello di istruzione fornito sopra, par. 3, a commento della composizione socio-anagrafica delle istanze ammesse alla prima annualità del SIA-ReD).
Questo dato contrasta con l’impegno profuso dalla Regione nel fornire assistenza tecnica agli Ambiti territoriali attraverso esperti di inserimento lavorativo che, per i primi mesi di avvio, hanno supportato, con una assistenza psicologica mirata, i beneficiari nel percorso di assessment lavorativo, il cui esito è stato il bilancio di competenze. La platea di riferimento della misura, d’altro canto, si è trovata a dover scegliere tra il beneficio e, spesso, il lavoro in nero, con la consapevolezza che né l’uno né l’altro, singolarmente presi, sarebbero stati in grado di far fuoriuscire il nucleo familiare dalla situazione di povertà. La soluzione, per molti casi (ma questo non siamo in grado di quantificarlo, poiché richiede un altro livello di analisi), è stata che, in presenza di un marito lavoratore ‘in nero’, fosse la moglie, disoccupata di fatto, a richiedere il beneficio.
9. La transizione dal ReD al ReI
Il passaggio dal ReD al ReI non è stato esente da difficoltà. I contraccolpi che la misura ha conosciuto a seguito dell’introduzione del ReI hanno riguardato l’intero impianto del dispositivo, a partire dalla modificazione della piattaforma informatica per consentire l’immissione delle domande[30].
Per quanto riguarda il transito dell’utenza da una misura all’altra, questa è stata regolamentata in modo da non soffrire di soluzione di continuità nel passaggio di regime (per quanto, nell’incertezza che ha accompagnato i primi mesi della nuova normativa, il pericolo fosse stato paventato agli utenti).
Si può leggere in un comunicato stampa della Regione Puglia del 3 gennaio 2018 che le domande per il ReI-ReD pervenute in tutto il mese di dicembre 2017 sono 5.676, di cui 416 per il ReD (cioè presentate da richiedenti che non hanno figli minori nel nucleo familiare) e 5.260 per il ReI (cioè presentate da richiedenti che hanno almeno un figlio minore). Si specifica, inoltre, che queste domande rappresentano una proroga semestrale del decaduto SIA, mentre le domande effettivamente ricadenti nella nuova disciplina ReI, da parte di nuovi utenti, sono quelle inoltrate da marzo 2018 per il ReD e da giugno 2018 per il ReI[31]. Le prime domande ReI in Puglia sono cioè frutto di proroga semestrale del SIA, poiché, secondo la normativa precedente il beneficio sarebbe durato dodici mesi e secondo la nuova normativa diciotto mesi. La quota ReI, esorbitante rispetto a quella ReD, si spiega con il fatto che trattasi degli utenti ‘ripescati’ da INPS per effetto dell’abbassamento da 45 a 25 punti, fissati come score minimo per avere accesso al beneficio. Coloro i quali sono in graduatoria per il SIA-ReD vedono automaticamente trasmigrare la propria domanda sulla piattaforma ReI. Per una ulteriore casistica di utenti, quelli che hanno completato i dodici mesi di beneficio SIA a ottobre 2017 si sono visti attribuire il beneficio per i mesi che li separavano da dicembre 2017, poiché per effetto del D.Lgs. n. 147/2017 i diciotto mesi di Reddito di Inclusione sono consecutivi[32].
La misura ReD (rinominata ReD 2.0) è destinata a vedere ancora una volta modificata la sua platea, per effetto dell’allargamento in senso universalistico del ReI a partire dal 2 luglio 2018. In particolare, a definire i reciproci ambiti di pertinenza, l’art. 1, c. 192 della legge n. 205/2017, recita: “tutte le domande di ReI presentate nel corso del 2018 e fino al 31 maggio p.v., in possesso di DSU2018, non accoglibili per la sola mancanza dei requisiti familiari, saranno sottoposte a riesame di ufficio, con verifica dei requisiti alla data del 1° giugno 2018”. Ciò determina che: “l’intera platea dei nuclei familiari senza figli minori per le domande 2018 non è più platea esclusiva ReD ma diventa platea ReI”[33].
La delibera della Giunta regionale n. 939/2018[34], recependo il nuovo quadro normativo, determina le nuove caratteristiche del ReD. Per quanto riguarda il beneficio economico, questo consiste in una misura passiva pari a un importo che va dai 300 ai 500 euro al mese, per dodici mesi, in considerazione della numerosità del nucleo familiare e delle ore di tirocinio di inclusione socio-lavorativa (componente attiva della misura). Il beneficio economico è accompagnato da un Patto di inclusione socio-lavorativa attiva e da servizi sociali ed educativi per tutti i componenti del nucleo familiare, con particolare considerazione per i buoni servizio educativi di conciliazione per minori e per adulti non autosufficienti.
La platea dei beneficiari non più determinata dall’assenza di figli minori, per effetto dell’apertura universalistica del ReI, è definita dai seguenti criteri socio-anagrafici e reddituali:
- residenza in Puglia da almeno dodici mesi alla data della domanda;
- cittadinanza come già definita in precedenza;
- ISEE non superiore a 6.000,00 euro;
- ISRE compreso tra 3.000,01 e 6.000,00 euro;
- incompatibilità con NASpI;
- incompatibilità con ReI;
- valutazione multidimensionale pari almeno a 20 punti.
Inoltre viene considerato obiettivo prioritario l’inclusione di nuclei portatori di specifiche fragilità, quali:
- nuclei familiari con: ISRE maggiore di 3.000,00 e fino a 6.000,00 euro; ISEE inferiore o uguale a 10.000,00 euro; tre o più componenti in minore età;
-
nuclei familiari con: ISRE maggiore di 3.000,00 e fino a 6.000,00 euro; ISEE inferiore o uguale a 10.000,00 euro; un congiunto che richieda le prestazioni di cura di un familiare per periodo di ricovero ospedaliero/riabilitativo superiore a trenta giorni in strutture del Servizio sanitario regionale (e non fuori Regione), successivo periodo di cure domiciliari di III livello e riabilitazione (documentato). In tal caso il patto di inclusione riconosce come ‘lavoro di comunità’ l’assistenza giornaliera al congiunto[35].
Lo sforzo progettuale per il quale dare atto alla Regione Puglia di una spinta propulsiva all’innovazione è da riconoscersi, a nostro parere, nella inclusione, quali categorie di beneficiari del ReD 2.0, questa volta su segnalazione dei Servizi sociali territoriali, di particolari categorie, quali: i ‘genitori separati’, cioè coniugi senza reddito da lavoro e che a seguito di separazione sono senza fissa dimora, ovvero persone con disabilità, di età compresa tra i 18 e i 64 anni, senza supporto familiare, con ISEE minore o uguale a 25.000,00 euro, inseriti o da inserire in un percorso ‘dopo di noi’ o donne vittime di violenza prese in carico, da sole o con prole, in un percorso di accoglienza e protezione, secondo quanto sarà accertato dal Servizio sociale professionale che cura la presa in carico, da avviare a un percorso di inclusione.
10. Un anno di ReI
Tentare una valutazione del ReI in Puglia è prematuro, stante anche l’importante modificazione intercorsa, a luglio 2018, nella direzione dell’inclusione di beneficiari senza requisiti familiari. Quello che possiamo riportare, per aver raccolto da diversi Ambiti territoriali l’andamento delle domande e della relativa presa in carico delle contemporanee misure di contrasto alla povertà, è che non si è verificato un effetto di sovrapposizione, quanto piuttosto di sostituzione. A titolo di esempio delle questioni emerse dalla coabitazione di ReD e ReI, assumeremo quanto accaduto al Comune di Bari, seppure, come vedremo, si tratti per certi versi di una situazione atipica, per le risorse profuse in termini finanziari e di personale.
Per il Comune di Bari, l’organigramma preposto all’implementazione delle misure di contrasto alla povertà prevede sette équipe multidimensionali, di cui cinque dislocate sui Municipi entro cui è ripartito il territorio comunale, più una di raccordo e una che ha sede presso il Centro di formazione e orientamento lavorativo Porta Futuro, che ha coordinato l’aspetto legato all’assessment e bilancio delle competenze dei beneficiari. A questa compagine, che poteva dirsi compiuta a fine marzo 2018, si è arrivati attraverso successive assunzioni di personale amministrativo, oltre che di assistenti sociali, mentre per l’orientamento lavorativo si è fatto ricorso a servizi esternalizzati di cooperative. Il Comune capoluogo è stato il primo a partire con la convocazione dei beneficiari, avendo potuto contare sui finanziamenti del Progetto obiettivo nazionale (PON) Metro, più generoso e più sollecito a essere stato devoluto, rispetto ai finanziamenti PON Inclusione sui quali hanno potuto contare gli altri Ambiti territoriali pugliesi. Questa partenza anticipata spiega in parte quella che è stata definita una: “[…] criticità assolutamente peculiare da tempo osservata a Bari, che è anche l’unica città in Puglia che ha scelto di non attivare tirocini per l’inclusione presso aziende pubbliche e nell’ambito dei servizi comunali, e che ha utilizzato pochissimo progetti individuali di lavoro di comunità”[36].
Tale puntualizzazione arriva all’indomani di un caso nazionale sollevato dalla pubblicazione di articoli e interviste, che hanno parlato di rinunce da parte di beneficiari del ReD a Bari pari al 40% per la prima annualità (2016) e al 50% per l’anno 2017[37].
L’interpretazione di questo dato deve fare i conti con la preferenza che gli utenti hanno accordato al ReI rispetto al ReD, essendo la misura nazionale esente da obblighi di tirocinio[38].
A livello regionale sono state fino a ora 1.811 le rinunce da parte dei beneficiari che avevano presentato domande nel 2016 e 2017, su oltre 18.000 sottoscrittori dei patti di attivazione, e quindi non superiori al 10% del totale dei beneficiari ReD.
In larga parte sono riconducibili a valutazioni di opportunità che i beneficiari hanno fatto quando dal 2018 è stato introdotto il ReI che, in particolare per famiglie con figli e ISEE pari a 0 euro, rendeva più convenienti gli importi ReI[39].
Tale scelta veniva a ricadere sul ReI anche nell’eventualità di decadenza durante il periodo di beneficio del ReD o dei criteri reddituali, più severi nel caso della prima stagione del ReD, o di disponibilità a seguire il tirocinio. Alla revoca del beneficio del ReD, in questo caso, seguiva su suggerimento degli stessi assistenti sociali, l’istanza sul ReI. Possiamo dunque parlare di un ‘effetto di disturbo’ operato dal ReI sul ReD, intervenuto nel periodo di ‘interregno’ tra le due misure, quando cioè il beneficio era già in corso d’opera. Questo effetto pare destinato a diminuire una volta che il ReD 2.0 abbia individuato una platea specifica.
11. Alcune indicazioni per il futuro
La ‘valutazione per adempimento’ ha caratterizzato alcuni aspetti dell’andamento della politica ReD, generando effetti non voluti di competizione tra Ambiti territoriali ed ‘effetto lega’ (League effect), in analogia con quanto osservato dagli studiosi di valutazione delle performance delle scuole e dei dirigenti scolastici (Palumbo e Pandolfini 2016). Per un esempio di ciò al quale facciamo riferimento riportiamo uno stralcio di comunicato:
Le grandi differenze territoriali sono un indicatore indiretto del maggiore o minore impegno profuso dai soggetti istituzionali e del partenariato socioeconomico nel territorio di ciascun Ambito territoriale, favorendo in primis un differente accesso alle informazioni sulla misura ReD da parte delle popolazioni di riferimento e assicurando un diverso supporto per la presentazione delle domande[40].
Al di là di questi aspetti, e scontando le cautele di cui un disegno valutativo dovrebbe tenere conto, la politica potrà essere valorizzata individuando indicatori in grado di far emergere le specificità dei casi di successo.
Un approccio valutativo[41] non dovrebbe però tacere il significato politico e ideologico dell’intervento, che ha fatto registrare accesi contrasti, pur in seno alla compagine politica che l’ha promosso.
Se, d’altro canto, i caratteri che abbiamo tratteggiato possono far pensare a un impatto minore di quanto gli sforzi profusi dalla Regione Puglia avrebbero fatto prevedere, la causa è da far risalire a un “sistema di welfare compensativo tradizionalmente iniquo, in cui i sistemi di protezione passivi rischiano di venir sostituiti, invece che integrati, da politiche di attivazione” (Ascoli et al. 2015, 365).
Il Reddito di Dignità rappresenta in Italia il tentativo, forse più organico, di affrontare la povertà estrema mettendo in gioco le strutture del welfare territoriale, chiamate a sostenere la presa in carico dei nuclei beneficiari. Volendo trarre da questa esperienza alcune indicazioni per le misure che si preparano a livello nazionale per combattere la povertà estrema, non possiamo che partire da quelle che sono le debolezze ‘messe a nudo’ dalla misura. Non perché questa non abbia caratteri di efficacia, ma proprio perché non si progetti su tutto il territorio nazionale una policy che abbia poi a replicarne le difficoltà. Indicazioni in questo senso vengono già dal Reddito di Inclusione, e di come la misura nazionale poggi sulla infrastrutturazione sociale propria dei territori (Agostini 2018). La Puglia ha gettato le basi per una integrazione della lotta alla povertà nel Piano regionale delle politiche sociali 2017-2020, declinata anche come povertà educativa e come attenzione alle fasce più fragili della popolazione, incluse le persone non autosufficienti. Il rischio che si è corso in Puglia, pensando alle prime annualità dell’intervento, è stato quello di concentrare eccessivamente su questa misura le risorse, sia monetarie che personali, di fatto interrompendo o indebolendo altri dispositivi di welfare, indirizzati comunque a target deboli[42].
I territori devono svolgere un ruolo determinante, per queste e per altre politiche di contrasto alla povertà che verranno. Ciò significa tenere conto delle loro debolezze intrinseche, come anche di un tessuto socio-economico che, in alcune Regioni del Sud, è ancora carente quanto a infrastrutturazione sociale e a spesa sociale pro-capite. Una misura incentrata sull’attivazione lavorativa deve essere in grado di tenere in debito conto le caratteristiche della domanda di lavoro, come pure della rete di attori chiamati a svolgere un ruolo importante nella implementazione. Pensando ai Centri per l’Impiego, l’impressione è che si faccia conto, nelle proposte di legge che si avvicendano, su una loro capacità che non sempre e non in tutti i territori può essere assicurata.
A seguito dell’approvazione della legge di bilancio 2019 e dell’approvazione del decreto legge 28 gennaio 2019, n. 4, Disposizioni urgenti in materia di reddito di cittadinanza e di pensioni, il ReD in Puglia si prepara a modificare la sua platea, includendo categorie che si troverebbero escluse dal Reddito di Cittadinanza o per le quali il calcolo dell’importo del beneficio si rivelerebbe irrisorio. A partire, infatti, dalle caratteristiche della platea di beneficiari interessata, nel corso degli ultimi due anni, dal beneficio ReD, sono state individuate fasce di popolazione alle quali il nuovo ReD potrà prestare attenzione[43]. In particolare, nuclei familiari con cinque o più componenti, il cui ISEE medio stimato è più elevato della media nazionale, nuclei con tre figli minori, nuclei con un componente disabile ma un ISEE superiore ai 9.360 euro e un familiare care giver. Nel caso delle famiglie numerose, il beneficio RdC risulterebbe minore rispetto al ReD a causa dell’adozione della scala di equivalenza e della conversione di parte del beneficio in una quota fissa, utilizzabile per le spese di affitto, che è pari a 280 euro mensili, sicuramente insufficiente per una famiglia di cinque o più componenti. Il nuovo ReD guarda poi a categorie come gli stranieri immigrati regolari per i quali i requisiti di residenza resterebbero gli stessi, sarebbe a dire la residenza in un Comune pugliese per dodici mesi, così come ai poveri senza fissa dimora. L’allargamento a queste categorie è attualmente allo studio e attende l’avvio del RdC per essere regolamentato da appositi interventi legislativi.
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